«Libero Pensatore» (è tempo di agire)

Il Testo unico degli enti locali (ex d.lgs. n. 267/2000, TUEL) prevede al quarto comma dell’art. 43, Diritti dei consiglieri, in opposizione ad una serie di correlate garanzie e prerogative inerenti lo status di amministratore pubblico (il c.d. esercizio del munus publicum)[1], una norma di chiusura che consente (una facoltà) allo statuto di stabilire «i casi di decadenza per la mancata partecipazione alle sedute e le relative procedure, garantendo il diritto del consigliere a far valere le cause giustificative», con il fine di sanzionare colui che con l’assenza non garantisce la funzionalità del Consiglio, ovvero non esercita la funzione per la quale è stato eletto: un dovere di assistere e partecipare alle attività del Consiglio comunale.

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La legittima decadenza del consigliere assenteista

La legittima decadenza del consigliere assenteista

Il Testo unico degli enti locali (ex d.lgs. n. 267/2000, TUEL) prevede al quarto comma dell’art. 43, Diritti dei consiglieri, in opposizione ad una serie di correlate garanzie e prerogative inerenti lo status di amministratore pubblico (il c.d. esercizio del munus publicum)[1], una norma di chiusura che consente (una facoltà) allo statuto di stabilire «i casi di decadenza per la mancata partecipazione alle sedute e le relative procedure, garantendo il diritto del consigliere a far valere le cause giustificative», con il fine di sanzionare colui che con l’assenza non garantisce la funzionalità del Consiglio, ovvero non esercita la funzione per la quale è stato eletto: un dovere di assistere e partecipare alle attività del Consiglio comunale.

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La sez. II Roma del TAR Lazio, con la sentenza del 17 ottobre 2022 n. 13214, interviene nel definire le modalità redazionali del provvedimento amministrativo, relativamente ai presupposti sull’esercizio del potere, ovvero la legittimazione giuridica che attribuisce, al firmatario dell’atto, la potestà di incidere nella sfera giuridica del destinatario.

Fatto

La questione, nella sua essenzialità, verte sul rigetto di un condono, dove da una parte, l’atto è stato adottato da un impiegato dell’ufficio tecnico anziché da un dirigente comunale, dall’altra parte, di un difetto di motivazione nell’omettere «di indicare sia gli articoli di legge presuntivamente violati, sia i documenti sulla base dei quali sarebbe stata riscontrata la risalenza temporale dell’abuso edilizio», e, dunque, al di fuori del perimetro temporale di operatività della sanatoria normativa.

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Il provvedimento di rigetto del condono

Il provvedimento di rigetto del condono

La sez. II Roma del TAR Lazio, con la sentenza del 17 ottobre 2022 n. 13214, interviene nel definire le modalità redazionali del provvedimento amministrativo, relativamente ai presupposti sull’esercizio del potere, ovvero la legittimazione giuridica che attribuisce, al firmatario dell’atto, la potestà di incidere nella sfera giuridica del destinatario.

Fatto

La questione, nella sua essenzialità, verte sul rigetto di un condono, dove da una parte, l’atto è stato adottato da un impiegato dell’ufficio tecnico anziché da un dirigente comunale, dall’altra parte, di un difetto di motivazione nell’omettere «di indicare sia gli articoli di legge presuntivamente violati, sia i documenti sulla base dei quali sarebbe stata riscontrata la risalenza temporale dell’abuso edilizio», e, dunque, al di fuori del perimetro temporale di operatività della sanatoria normativa.

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La natura della concessione cimiteriale

La concessione cimiteriale è un atto amministrativo con il quale la P.A. concede ad un terzo nuove posizioni giuridiche attive (c.d. atto ampliativo della sfera giuridica del destinatario)[1] che si distingue dall’autorizzazione che si limita (quest’ultima) a rimuovere un limite all’esercizio di diritti, poteri e facoltà preesistenti, differenziandosi alla radice del diritto proprio per il conferimento di nuovi diritti e potestà di cui la P.A. è titolare (per questi primi motivi non si potrebbe parlare di acquisto di un titolo di proprietà, peraltro il bene è demaniale, ex comma 2 dell’art. 824 c.c., di conseguenza inalienabili, ai sensi dell’art. 823 c.c.)[2] ma che non intende esercitare direttamente (pur mantenendone intestato il potere e la titolarità) ammettendo il soggetto «al godimento di beni della vita riservati ai pubblici poteri, non suscettibili di formare oggetto di atti di autonomia privata»[3].

Questo ultimo carattere, inserito nel codice civile dal 21 aprile 1942 (data di sua entrata in vigore) ha introdotto una conformazione generale delle aree cimiteriali e dei relativi diritti, sottratti alla disponibilità dei privati e oggetto di “concessioni traslative” da parte dell’ente titolare, sicché la cessione di un diritto al sepolcro (o tumulazione), inteso tanto come diritto primario di sepolcro quanto come diritto sul manufatto, va configurata come voltura della relativa concessione demaniale, sottoposta al requisito di efficacia della autorizzazione del concedente Comune (non, dunque, una cessione di proprietà del privato concessionario)[4].

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Negoziabilità del sepolcro cimiteriale

Negoziabilità del sepolcro cimiteriale

La natura della concessione cimiteriale

La concessione cimiteriale è un atto amministrativo con il quale la P.A. concede ad un terzo nuove posizioni giuridiche attive (c.d. atto ampliativo della sfera giuridica del destinatario)[1] che si distingue dall’autorizzazione che si limita (quest’ultima) a rimuovere un limite all’esercizio di diritti, poteri e facoltà preesistenti, differenziandosi alla radice del diritto proprio per il conferimento di nuovi diritti e potestà di cui la P.A. è titolare (per questi primi motivi non si potrebbe parlare di acquisto di un titolo di proprietà, peraltro il bene è demaniale, ex comma 2 dell’art. 824 c.c., di conseguenza inalienabili, ai sensi dell’art. 823 c.c.)[2] ma che non intende esercitare direttamente (pur mantenendone intestato il potere e la titolarità) ammettendo il soggetto «al godimento di beni della vita riservati ai pubblici poteri, non suscettibili di formare oggetto di atti di autonomia privata»[3].

Questo ultimo carattere, inserito nel codice civile dal 21 aprile 1942 (data di sua entrata in vigore) ha introdotto una conformazione generale delle aree cimiteriali e dei relativi diritti, sottratti alla disponibilità dei privati e oggetto di “concessioni traslative” da parte dell’ente titolare, sicché la cessione di un diritto al sepolcro (o tumulazione), inteso tanto come diritto primario di sepolcro quanto come diritto sul manufatto, va configurata come voltura della relativa concessione demaniale, sottoposta al requisito di efficacia della autorizzazione del concedente Comune (non, dunque, una cessione di proprietà del privato concessionario)[4].

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La presentazione di un’istanza finalizzata all’acquisizione di un titolo edilizio (permesso di costruire o autorizzazione), oltre a rispettare i requisiti richiesti dalla disciplina urbanistica in generale (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, ex D.P.R. n. 380/2001 e norme tecniche interne alla singola Amministrazione) richiede che la documentazione sia corrispondente alle reali situazioni di fatto e che sia formulata da un soggetto proprietario del terreno, o suo legittimato.

Va preliminarmente osservato, su questo ultimo aspetto, che in termini generali nella materia edilizia, la rilevanza dei rapporti tra i privati ricorre nei limiti in cui sia ictu oculi percepibile dall’Amministrazione procedente, richiedendo una verifica sulla legittimazione del soggetto, ovvero una dimostrazione della proprietà (o il dominio indiretto) su cui insiste il bene da edificare o manutentare: «Il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo» (ex art. 11, comma 1 del D.P.R. n. 380/2001).

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Effetti dell’errata rappresentazione dei luoghi e dei titoli di proprietà in ambito edilizio

Effetti dell’errata rappresentazione dei luoghi e dei titoli di proprietà in ambito edilizio

La presentazione di un’istanza finalizzata all’acquisizione di un titolo edilizio (permesso di costruire o autorizzazione), oltre a rispettare i requisiti richiesti dalla disciplina urbanistica in generale (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, ex D.P.R. n. 380/2001 e norme tecniche interne alla singola Amministrazione) richiede che la documentazione sia corrispondente alle reali situazioni di fatto e che sia formulata da un soggetto proprietario del terreno, o suo legittimato.

Va preliminarmente osservato, su questo ultimo aspetto, che in termini generali nella materia edilizia, la rilevanza dei rapporti tra i privati ricorre nei limiti in cui sia ictu oculi percepibile dall’Amministrazione procedente, richiedendo una verifica sulla legittimazione del soggetto, ovvero una dimostrazione della proprietà (o il dominio indiretto) su cui insiste il bene da edificare o manutentare: «Il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo» (ex art. 11, comma 1 del D.P.R. n. 380/2001).

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La trasparenza nella Legge n. 241/1990 riveste una funzione partecipativa (ex art. 10) conoscitiva (ex artt. 22 ss.) dell’azione amministrativa, ed anche come rimedio per il consapevole diritto di difesa dall’esercizio della funzione pubblica, consentendo l’accesso agli atti amministrativi (visione ed estrazione) per la cura di una situazione giuridicamente tutelata (sotto il profilo della legittimazione e dell’interesse).

La trasparenza viene (poi) considerata (o trattata) come una misura di prevenzione della corruzione, secondo gli obblighi del D.Lgs. n. 33/2013 (c.d. Decreto Trasparenza) e delle Linee Guida ANAC 1309 e 1310 del 2016 (importando il modello FOIA) per il “controllo sociale” dell’organizzazione e della spesa pubblica.

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La trasparenza del bilancio arboreo di fine mandato

La trasparenza del bilancio arboreo di fine mandato

La trasparenza nella Legge n. 241/1990 riveste una funzione partecipativa (ex art. 10) conoscitiva (ex artt. 22 ss.) dell’azione amministrativa, ed anche come rimedio per il consapevole diritto di difesa dall’esercizio della funzione pubblica, consentendo l’accesso agli atti amministrativi (visione ed estrazione) per la cura di una situazione giuridicamente tutelata (sotto il profilo della legittimazione e dell’interesse).

La trasparenza viene (poi) considerata (o trattata) come una misura di prevenzione della corruzione, secondo gli obblighi del D.Lgs. n. 33/2013 (c.d. Decreto Trasparenza) e delle Linee Guida ANAC 1309 e 1310 del 2016 (importando il modello FOIA) per il “controllo sociale” dell’organizzazione e della spesa pubblica.

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