«Libero Pensatore» (è tempo di agire)

La sez. giurisdizionale Valle D’Aosta, della Corte dei conti, con una serie di sentenze (gemelle) nn. 1, 2, 3, 4 e 5 del 15 marzo 2024, esclude la colpa grave a fronte della reiterazione di contratti a termine (causa del c.d. danno comunitario)[1]: la colpa grave viene meno in presenza di un quadro normativo e interpretativo giurisprudenziale incerto, di indicazioni ministeriali favorevoli dalla presenza di assunzione mediante procedure selettive.

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Niente colpa grave per la reiterazione dei rapporti di lavoro a termine

Niente colpa grave per la reiterazione dei rapporti di lavoro a termine

La sez. giurisdizionale Valle D’Aosta, della Corte dei conti, con una serie di sentenze (gemelle) nn. 1, 2, 3, 4 e 5 del 15 marzo 2024, esclude la colpa grave a fronte della reiterazione di contratti a termine (causa del c.d. danno comunitario)[1]: la colpa grave viene meno in presenza di un quadro normativo e interpretativo giurisprudenziale incerto, di indicazioni ministeriali favorevoli dalla presenza di assunzione mediante procedure selettive.

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Lo smart working alimenta il dibattito pubblico con vicende che spesso appaiono contradittorie, da una parte, alcune categorie di lavoratori si “rifiutano” di rientrare in servizio (ovvero, manifestano perplessità al rientro forzato non essendo – in grado il datore di lavoro pubblico – di assicurare la sicurezza dal contagio), dall’altra parte, chi vorrebbe rientrare al lavoro (ovvero, far rientrare il personale in servizio, c.d. in presenza), viene chiamato a fornire chiarimenti dalla Funzione Pubblica per la presunta violazione del protocollo quadro “Rientro in sicurezza”, sottoscritto il 24 luglio 2020 dal Ministro per la P.A.[1].

Assistiamo ad una nuova genesi da Covid-19, la “riforma del pubblico impiego” sotto il profilo dell’orario di servizio, elemento cardine del rapporto di lavoro, che rientra nella prestazione del lavoratore a fronte della controprestazione retributiva (c.d. rapporto sinallagmatico), segnando un elemento determinante e fondante del rapporto negoziale, ai sensi dell’art. 2094 c.c., disegnando la natura del contratto: a titolo oneroso e prestazioni corrispettive (c.d. “contratto di scambio”)[2].

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Processi evolutivi da smart working e riforma della P.A.

Processi evolutivi da smart working e riforma della P.A.

Lo smart working alimenta il dibattito pubblico con vicende che spesso appaiono contradittorie, da una parte, alcune categorie di lavoratori si “rifiutano” di rientrare in servizio (ovvero, manifestano perplessità al rientro forzato non essendo – in grado il datore di lavoro pubblico – di assicurare la sicurezza dal contagio), dall’altra parte, chi vorrebbe rientrare al lavoro (ovvero, far rientrare il personale in servizio, c.d. in presenza), viene chiamato a fornire chiarimenti dalla Funzione Pubblica per la presunta violazione del protocollo quadro “Rientro in sicurezza”, sottoscritto il 24 luglio 2020 dal Ministro per la P.A.[1].

Assistiamo ad una nuova genesi da Covid-19, la “riforma del pubblico impiego” sotto il profilo dell’orario di servizio, elemento cardine del rapporto di lavoro, che rientra nella prestazione del lavoratore a fronte della controprestazione retributiva (c.d. rapporto sinallagmatico), segnando un elemento determinante e fondante del rapporto negoziale, ai sensi dell’art. 2094 c.c., disegnando la natura del contratto: a titolo oneroso e prestazioni corrispettive (c.d. “contratto di scambio”)[2].

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Il decreto “Cura Italia” (ex D.L. n. 18/2020) proietta la Pubblica Amministrazione, in stato emergenziale, in una situazione di essenzialità e indifferibilità, sospendendo i tempi dell’agere pubblico, ridimensionando il lavoro in agile, inteso quale via ordinaria di regolamentazione della «modalità di svolgimento della prestazione lavorativa all’interno degli uffici pubblici» (appunto, smart working)[1], aprendo all’on line nel tentativo (tra un DPCM e un D.L., o qualche diretta facebook) di limitare gli sposamenti delle persone e assicurare una rapida morte al coronavirus.

Dunque, la presenza in servizio sarebbe l’eccezione, con l’obbligo della P.A. di individuare le attività indifferibili e le attività strettamente funzionali alla gestione dell’emergenza, rispettando le misure di distanza droplet tra gli operatori pubblici e l’utenza, oppure con mediati incontri in videoconferenza.

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La videoconferenza e il lavoro agile verso il futuro dopo il COVID-19

La videoconferenza e il lavoro agile verso il futuro dopo il COVID-19

Il decreto “Cura Italia” (ex D.L. n. 18/2020) proietta la Pubblica Amministrazione, in stato emergenziale, in una situazione di essenzialità e indifferibilità, sospendendo i tempi dell’agere pubblico, ridimensionando il lavoro in agile, inteso quale via ordinaria di regolamentazione della «modalità di svolgimento della prestazione lavorativa all’interno degli uffici pubblici» (appunto, smart working)[1], aprendo all’on line nel tentativo (tra un DPCM e un D.L., o qualche diretta facebook) di limitare gli sposamenti delle persone e assicurare una rapida morte al coronavirus.

Dunque, la presenza in servizio sarebbe l’eccezione, con l’obbligo della P.A. di individuare le attività indifferibili e le attività strettamente funzionali alla gestione dell’emergenza, rispettando le misure di distanza droplet tra gli operatori pubblici e l’utenza, oppure con mediati incontri in videoconferenza.

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La seconda sezione del T.A.R. Lombardia, Milano, con la sentenza 25 gennaio 2019 n. 153, interviene per definire la legittimazione processuale dei consiglieri comunali in relazione alle attività inerenti la funzione pubblica esercitata, con riferimento specifico agli atti adottati dal Consiglio comunale: sussiste solo per la violazione delle prerogative inerenti lo status.

Il fatto nella sua essenzialità: un consigliere comunale di minoranza impugna la deliberazione del Consiglio comunale, avente ad oggetto l’adozione del Piano di governo del territorio, chiedendo altresì la condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni.

Nel ricorso viene contestata la deliberazione di adozione del P.G.T., in quanto avrebbe partecipato alla relativa seduta consiliare ed espresso il proprio voto favorevole anche un altro consigliere comunale, che avrebbe dovuto astenersi in ragione della sua posizione di conflitto di interessi

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Legittimazione attiva dei consiglieri comunali sugli atti del Consiglio comunale

Legittimazione attiva dei consiglieri comunali sugli atti del Consiglio comunale

La seconda sezione del T.A.R. Lombardia, Milano, con la sentenza 25 gennaio 2019 n. 153, interviene per definire la legittimazione processuale dei consiglieri comunali in relazione alle attività inerenti la funzione pubblica esercitata, con riferimento specifico agli atti adottati dal Consiglio comunale: sussiste solo per la violazione delle prerogative inerenti lo status.

Il fatto nella sua essenzialità: un consigliere comunale di minoranza impugna la deliberazione del Consiglio comunale, avente ad oggetto l’adozione del Piano di governo del territorio, chiedendo altresì la condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni.

Nel ricorso viene contestata la deliberazione di adozione del P.G.T., in quanto avrebbe partecipato alla relativa seduta consiliare ed espresso il proprio voto favorevole anche un altro consigliere comunale, che avrebbe dovuto astenersi in ragione della sua posizione di conflitto di interessi

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