«Libero Pensatore» (è tempo di agire)

La sentenza

La sez. I del TAR Marche. con la sentenza 4 maggio 2022, n. 272, interviene per chiarire le operazioni di verbalizzazione di una Commissione di gara, qualora un proprio componente intenda dissentire rifiutandosi di sottoscrivere il verbale.

Il verbale

È noto che il verbale redatto da una Commissione non è atto collegiale, ma solo un documento che attesta, con le dovute garanzie legali, il contenuto della volontà dell’organo, rilevando che:

  • non deve necessariamente contenere la descrizione minuta di ogni singola modalità di svolgimento, ma deve riportarne soltanto gli aspetti salienti e significativi, tali da riscontrare la correttezza delle operazioni eseguite;
  • non tutte le operazioni compiute ed i fatti accertati devono essere necessariamente documentati, ma solo quelli che, secondo un criterio di ragionevolezza, assumono rilevanza proprio in relazione alle finalità cui l’attività di verbalizzazione viene effettuata;
  • l’attività certificativa insita nel verbale rimarcata dal regime di fidefacienza[1] che presidia la valenza dimostrativa dell’atto[2];
  • sono mere irregolarità formali non invalidanti la mancata indicazione del verbalizzante o della data di verbalizzazione, che può essere diversa dalla data della seduta, quest’ultima da riportare necessariamente[3];
  • la mancanza di firma da parte di uno dei commissari, ove non sia determinata dalla mancata partecipazione di questi alla seduta, non inficia la validità del verbale ma concreta una mera irregolarità sanabile[4];
  • l’efficacia probatoria qualificata deve essere contestata con il ricorso al rimedio tipico della querela di falso (e non con una semplice esternazione di invalidità)[5]: l’esame di ogni questione concernente l’alterazione nel verbale della realtà degli accadimenti e dell’effettivo svolgersi dei fatti va contestata con formale denuncia[6];
  • il verbale (delle Commissioni di gara/concorsuale) costituisce un atto pubblico (ex 2700 del cod. civ. dispone che l’atto pubblico fa piena prova, sino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti), che è assistito da fede privilegiata, facendo prova sino a querela di falso di quanto in esso attestato[7];
  • il verbale di una procedura amministrativa – a differenza di quanto avviene, ad esempio, per l’atto pubblico notarile – non richiede in linea di principio di essere redatto a pena di invalidità con forme e menzioni particolari, sicché chi ne contesta la legittimità non può limitarsi a dedurre in proposito solo la mancata menzione a verbale della regolarità delle operazioni in ogni loro singolo passaggio, ma ha l’onere di provare in positivo le circostanze e gli elementi idonei a far presumere che una qualche irregolarità abbia avuto luogo con pregiudizio nei suoi confronti (quando manca tale prova, si può desumere che le operazioni non descritte nel verbale si siano svolte secondo quanto le norme prevedono)[8].

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Verbalizzazioni e rifiuto alla sottoscrizione del verbale di gara

Verbalizzazioni e rifiuto alla sottoscrizione del verbale di gara

La sentenza

La sez. I del TAR Marche. con la sentenza 4 maggio 2022, n. 272, interviene per chiarire le operazioni di verbalizzazione di una Commissione di gara, qualora un proprio componente intenda dissentire rifiutandosi di sottoscrivere il verbale.

Il verbale

È noto che il verbale redatto da una Commissione non è atto collegiale, ma solo un documento che attesta, con le dovute garanzie legali, il contenuto della volontà dell’organo, rilevando che:

  • non deve necessariamente contenere la descrizione minuta di ogni singola modalità di svolgimento, ma deve riportarne soltanto gli aspetti salienti e significativi, tali da riscontrare la correttezza delle operazioni eseguite;
  • non tutte le operazioni compiute ed i fatti accertati devono essere necessariamente documentati, ma solo quelli che, secondo un criterio di ragionevolezza, assumono rilevanza proprio in relazione alle finalità cui l’attività di verbalizzazione viene effettuata;
  • l’attività certificativa insita nel verbale rimarcata dal regime di fidefacienza[1] che presidia la valenza dimostrativa dell’atto[2];
  • sono mere irregolarità formali non invalidanti la mancata indicazione del verbalizzante o della data di verbalizzazione, che può essere diversa dalla data della seduta, quest’ultima da riportare necessariamente[3];
  • la mancanza di firma da parte di uno dei commissari, ove non sia determinata dalla mancata partecipazione di questi alla seduta, non inficia la validità del verbale ma concreta una mera irregolarità sanabile[4];
  • l’efficacia probatoria qualificata deve essere contestata con il ricorso al rimedio tipico della querela di falso (e non con una semplice esternazione di invalidità)[5]: l’esame di ogni questione concernente l’alterazione nel verbale della realtà degli accadimenti e dell’effettivo svolgersi dei fatti va contestata con formale denuncia[6];
  • il verbale (delle Commissioni di gara/concorsuale) costituisce un atto pubblico (ex 2700 del cod. civ. dispone che l’atto pubblico fa piena prova, sino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti), che è assistito da fede privilegiata, facendo prova sino a querela di falso di quanto in esso attestato[7];
  • il verbale di una procedura amministrativa – a differenza di quanto avviene, ad esempio, per l’atto pubblico notarile – non richiede in linea di principio di essere redatto a pena di invalidità con forme e menzioni particolari, sicché chi ne contesta la legittimità non può limitarsi a dedurre in proposito solo la mancata menzione a verbale della regolarità delle operazioni in ogni loro singolo passaggio, ma ha l’onere di provare in positivo le circostanze e gli elementi idonei a far presumere che una qualche irregolarità abbia avuto luogo con pregiudizio nei suoi confronti (quando manca tale prova, si può desumere che le operazioni non descritte nel verbale si siano svolte secondo quanto le norme prevedono)[8].

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L’art. 54 del d.lgs. n. 274/2000, consente al giudice di pace, su richiesta dell’imputato, di poter applicare la sanzione penale sostitutiva con il lavoro di pubblica utilità (LPU), consentendo una modalità diversa di scontare la pena, con riflessi diretti dell’Amministrazione pubblica (ovvero, presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o gli enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato) la quale può utilizzare i soggetti autorizzati per alcune attività di proprio interesse.

In effetti, ai fini del computo della pena, un giorno di lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione, anche non continuativa, di due ore di lavoro.

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Convenzione per lavori di pubblica utilità

Convenzione per lavori di pubblica utilità

L’art. 54 del d.lgs. n. 274/2000, consente al giudice di pace, su richiesta dell’imputato, di poter applicare la sanzione penale sostitutiva con il lavoro di pubblica utilità (LPU), consentendo una modalità diversa di scontare la pena, con riflessi diretti dell’Amministrazione pubblica (ovvero, presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o gli enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato) la quale può utilizzare i soggetti autorizzati per alcune attività di proprio interesse.

In effetti, ai fini del computo della pena, un giorno di lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione, anche non continuativa, di due ore di lavoro.

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Il pronunciamento

La sez. II Lecce, del TAR Puglia, con la sentenza 27 aprile 2022, n. 676, interviene per delimitare la richiesta risarcitoria a fronte dell’inerzia dell’Amministrazione nell’adottare un’ordinanza di rimozione rifiuti, in assenza di una preventiva messa in mora del silenzio, ex art. 2 della legge n. 241/1990.

Tutela a fronte del silenzio della PA

È noto affinché possa configurarsi il silenzio inadempimento contestabile, ai sensi del combinato disposto dell’art. 2, Conclusione del procedimento, della legge cit. e degli artt. 31, Azione avverso il silenzio e declaratoria di nullità, e 117, Ricorsi avverso il silenzio, c.p.a., occorre che sussista un obbligo di provvedere e che, decorso il termine di conclusione del procedimento, non sia stato assunto alcun provvedimento espresso, avendo tenuto l’Amministrazione procedente una condotta inerte.

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Nessun risarcimento del danno in mancanza della c.d. pregiudiziale attenuata

Nessun risarcimento del danno in mancanza della c.d. pregiudiziale attenuata

Il pronunciamento

La sez. II Lecce, del TAR Puglia, con la sentenza 27 aprile 2022, n. 676, interviene per delimitare la richiesta risarcitoria a fronte dell’inerzia dell’Amministrazione nell’adottare un’ordinanza di rimozione rifiuti, in assenza di una preventiva messa in mora del silenzio, ex art. 2 della legge n. 241/1990.

Tutela a fronte del silenzio della PA

È noto affinché possa configurarsi il silenzio inadempimento contestabile, ai sensi del combinato disposto dell’art. 2, Conclusione del procedimento, della legge cit. e degli artt. 31, Azione avverso il silenzio e declaratoria di nullità, e 117, Ricorsi avverso il silenzio, c.p.a., occorre che sussista un obbligo di provvedere e che, decorso il termine di conclusione del procedimento, non sia stato assunto alcun provvedimento espresso, avendo tenuto l’Amministrazione procedente una condotta inerte.

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(Pubblicato su Maggiolicultura.it – 21 aprile 2022. Iscriviti alla Newsletter della rivista)

Il regime dei beni pubblici

In via generale, la gestione dei beni pubblici impone una regola base che può essere riassunta nei principi comuni del “buon andamento e dell’imparzialità” (ex artt. 97 Cost. e 1 della legge n. 241/1990), esigendo da una parte, di mettere in assegnazione la res publica mediante una procedura trasparente (la c.d. evidenza pubblica), dall’altra, della necessaria utilità (c.d. reddittività), percependo un canone di locazione/concessione, valorizzando il patrimonio affidato ad un terzo.

Risulta evidente l’illegittimità di un affidamento diretto di un bene pubblico, senza alcuna procedura selettiva, in aperta violazione con i principi generali della contabilità pubblica (secondo le regole che impongono un’entrata nei contratti attivi attesa la reddittività dei beni) e la disciplina comunitaria della concorrenza, pubblicità e trasparenza[1].

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Assegnazione della sede ad una associazione culturale con schema di comodato

Assegnazione della sede ad una associazione culturale con schema di comodato

(Pubblicato su Maggiolicultura.it – 21 aprile 2022. Iscriviti alla Newsletter della rivista)

Il regime dei beni pubblici

In via generale, la gestione dei beni pubblici impone una regola base che può essere riassunta nei principi comuni del “buon andamento e dell’imparzialità” (ex artt. 97 Cost. e 1 della legge n. 241/1990), esigendo da una parte, di mettere in assegnazione la res publica mediante una procedura trasparente (la c.d. evidenza pubblica), dall’altra, della necessaria utilità (c.d. reddittività), percependo un canone di locazione/concessione, valorizzando il patrimonio affidato ad un terzo.

Risulta evidente l’illegittimità di un affidamento diretto di un bene pubblico, senza alcuna procedura selettiva, in aperta violazione con i principi generali della contabilità pubblica (secondo le regole che impongono un’entrata nei contratti attivi attesa la reddittività dei beni) e la disciplina comunitaria della concorrenza, pubblicità e trasparenza[1].

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La sez. I Bari del TAR Puglia, con la sentenza 30 marzo 2022, n. 460, interviene sulla nullità di un incarico dirigenziale inconferibile, negando la propria giurisdizione devoluta al giudice ordinario.

Nel caso di specie, il RPCT, dopo apposita attività istruttoria e previo contraddittorio con l’interessato[1], dichiarava la nullità dell’incarico dirigenziale, ai sensi dell’art. 17, Nullità degli incarichi conferiti in violazione delle disposizioni del presente decreto, del d.lgs. n. 39/2013, in presenza di un’ipotesi, di cui all’art. 3, comma 1, lett. c), del cit. d.lgs. (si tratta di una tipologia prevista tassativamente in un elenco), che vieta la nomina a dirigente «A coloro che siano stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per uno dei reati previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale»[2].

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Nullità dell’incarico dirigenziale inconferibile: la giurisdizione compete al G.O.

Nullità dell’incarico dirigenziale inconferibile: la giurisdizione compete al G.O.

La sez. I Bari del TAR Puglia, con la sentenza 30 marzo 2022, n. 460, interviene sulla nullità di un incarico dirigenziale inconferibile, negando la propria giurisdizione devoluta al giudice ordinario.

Nel caso di specie, il RPCT, dopo apposita attività istruttoria e previo contraddittorio con l’interessato[1], dichiarava la nullità dell’incarico dirigenziale, ai sensi dell’art. 17, Nullità degli incarichi conferiti in violazione delle disposizioni del presente decreto, del d.lgs. n. 39/2013, in presenza di un’ipotesi, di cui all’art. 3, comma 1, lett. c), del cit. d.lgs. (si tratta di una tipologia prevista tassativamente in un elenco), che vieta la nomina a dirigente «A coloro che siano stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per uno dei reati previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale»[2].

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