«Libero Pensatore» (è tempo di agire)
Articolo Pubblicato il 29 Giugno, 2023

Il potere di qualificazione dell’intervento edilizio spetta al Comune

Il potere di qualificazione dell’intervento edilizio spetta al Comune

È noto che l’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce un’attività vincolata e doverosa della Pubblica Amministrazione e, pertanto, i relativi provvedimenti, quali ad esempio un’ordinanza di demolizione, costituisce un atto vincolato per la cui adozione non è richiesto l’invio della comunicazione di avvio del procedimento, non potendosi alimentare aspetti di natura collaborativa una volta accertato l’abuso[1].

La competenza

In effetti, la competenza sulla titolarità di accertare la conformazione del territorio spetta all’Amministrazione locale nell’esercizio del suo potere inesauribile di controllo[2], non potendo altri soggetti (pubblici) sostituirsi nella sua determinazione: la sez. II Salerno del TAR Campania, con la sentenza 20 giugno 2023, n. 1476, rimarca in parte tali considerazioni quando si discosta da un parere negativo della Soprintendenza in ordine alla domanda di rilascio del permesso di costruire (per la ricostruzione di un rudere), ammettendo l’intervento sulla base di proprie valutazioni sullo stato legittimo del bene.

La questione

Il caso affrontato riguarda un ricorso avverso il parere negativo delle Autorità preposte al vincolo che in opposizione alle tracce di una preesistente edificazione ne contestavano la conformità urbanistica, ritenendo non provata l’originaria consistenza di ingombro, configurando l’intervento come nuova costruzione, «perché l’art. 3, comma 1, lett. d), D.P.R. 380/2001, alla luce anche delle più recenti modifiche, ricomprende la “ricostruzione” nella categoria della ristrutturazione edilizia solo ove sia dimostrata la consistenza originaria del bene».

A ben vedere, tuttavia, la parte finale della cit. fonte dispone «rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio… gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria», nel senso di inquadrare l’intervento edilizio non in una “nuova costruzione” (lettera e), del comma 1, dell’art. 3 del DPR n. 380/2001) ma in una “ristrutturazione” ove sia dimostrato una originaria consistenza senza aumento di volume (nessun nuovo carico urbanistico)[3].

La titolarità nella qualificazione dell’intervento

Ciò posto, il ricorso viene ritenuto manifestamente fondato allineandosi ad un consolidato orientamento della giurisprudenza, il quale afferma che il rudere è un manufatto costituito da alcune rimanenze di mura perimetrali, ovvero caratterizzato dalla presenza solo parziale della muratura perimetrale, con assenza di copertura e di strutture orizzontali[4], potendo legittimamente qualificare l’intervento di ricostruzione di un rudere come ristrutturazione qualora sia accertabile (elemento necessario e sufficiente) l’originaria consistenza dell’edificio.

Si è sostenuto, altresì, che perché si possa ritenere sussistente una fattispecie di ristrutturazione edilizia è necessario che la parte interessata (il privato) provi, in sede procedimentale, la preesistenza del fabbricato e la sua esatta consistenza al fine di consentire la individuazione precisa dei suoi connotati essenziali, come identità strutturale, in relazione anche alla sua destinazione: la c.d. demo-ricostruzione – ovvero un’incisiva forma di recupero di preesistenze – tradizionalmente pretende la pressoché fedele ricostruzione di un fabbricato identico a quello già esistente[5], dalla cui strutturale identificabilità, come organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura, non si può prescindere[6].

Si deve dedurre che in presenza dei suoi elementi essenziali, con adeguato grado di sicurezza, sulla base di riscontri documentali od altri elementi certi e verificabili l’Amministrazione non possa negare l’intervento ritenendolo assimilabile ad un’attività di nuova costruzione[7]: la dimostrazione di una preesistenza è sufficiente a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare non potendo qualificare nei termini di cui alla lettera e), del comma 1, dell’art. 3 cit.[8].

Il Tribunale entra direttamente nel merito della potestà pubblica quando precisa che la dimostrazione della preesistente consistenza è stata dichiarata dal Comune a cui «solo spetta la valutazione sul il c.d. “stato legittimo” dell’immobile dell’opera…, il quale ha rappresentato, attraverso un ragionamento tecnico-discrezionale non irragionevole, il rinvenimento di tracce di alcuni “monconi” in legno, che costituivano la struttura portante della copertura originaria, attraverso cui è stato possibile accertare il posizionamento delle falde (da ubicarsi 40 cm circa più in basso rispetto ad un precedente progetto non approvato nell’anno 2017)»[9].

Il pronunciamento antepone in evidenza un limite invalicabile sul potere decisionale accertativo di qualificazione dell’intervento, rilevando che la titolarità di inquadrare, o meno, la tipologia all’interno delle categorie normative (le definizioni degli interventi edilizi, ex art. 3 del DPR n. 380/2001) risulta una competenza dell’Ente locale non dall’Autorità preposta al vincolo, alla quale è preclusa ogni valutazione di merito.

L’attività accertativa del Comune

Si ricava, ancor più, che il parere urbanistico-edilizio favorevole, ossia, l’attività istruttoria del Comune, attesta nella sua essenzialità e cogenza lo stato di preesistenza e la consistenza del corpo di fabbrica, accertamento che può avvenire attraverso sia la restituzione grafica dello stato di fatto, che la ulteriore documentazione allegata al progetto, ossia anche con l’apporto probatorio del privato, impedendo conseguentemente all’Autorità proposta alla tutela del vincolo di sostituirsi al Responsabile del procedimento (il sottoscrittore del titolo edilizio) nel qualificare l’intervento sulla base di proprie osservazioni, specie in presenza di un allegato accertamento.

In questo senso, vanno lette le recenti modifiche apportate alla lettera d), del comma 1, dell’art. 3 del DPR n. 380/2001, Interventi di ristrutturazione edilizia, con una finalità di ampliare la nozione di “ristrutturazione conservativa” mediante il “recupero” in senso ampio del patrimonio edilizio esistente, evitando un ulteriore consumo di suolo: nuove costruzioni.

In definitiva, legittimamente il Comune può qualificare l’intervento edilizio come ristrutturazione e non come nuova edificazione discostandosi dalle valutazioni effettuate da parte di terzi (altre Amministrazioni), potendo nell’attività di verifica documentare la preesistenza sotto una molteplicità di modi e forme, anche con dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà di persone ritenute a conoscenza dello stato dei luoghi, una perizia di parte basata su fotografie nel corso dei lavori, le aerofotogrammetria a contenuto puntuale, ed, in ogni caso, quando il contenuto probatorio risulti preciso e rispondente al modello di prova rigorosa[10].

(pubblicato: lasettimanagiuridica.it e lentepubblica.it, 29 giugno 2023)

 

[1] Cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II bis, 29 marzo 2019, n. 4211.

[2] L’Amministrazione civica è tenuta a rilasciare il titolo abilitativo edilizio avendo esclusivo riguardo alla compatibilità urbanistica dell’opera richiesta – il che non implica affatto che essa non sia lesiva di diritti soggettivi altrui – lasciando ogni questione afferente a diritti soggettivi alla sua unica sede competente, che è il giudizio civile, CGARS, sez. giurisdizionale, 5 giugno 2023, n. 392.

[3] Ai fini di tutela del paesaggio, il divieto di incremento dei volumi esistenti si riferisce a qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, non potendo distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume, interrato o meno, Cons. Stato, sez. II, 24 aprile 2023, n. 4123.

[4] Cfr. TAR Campania, Salerno, sez. I, 28 luglio 2015, n. 1764.

[5] Il concetto di sagoma ricomprende l’intera conformazione plano-volumetrica della costruzione ed il suo perimetro considerato in senso verticale e orizzontale e quindi, il contorno che viene ad assumere l’edificio, TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 20 gennaio 2023, n. 65.

[6] Cons. Stato, sez. VI, 5 dicembre 2016, n. 5106 e sez. V, 10 febbraio 2004, n. 475.

[7] Cfr. TAR Emilia – Romagna, sez. I, 18 agosto 2021, n. 756; TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 6 luglio 2020, n. 517.

[8] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 17 febbraio 2023, n. 1681.

[9] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 24 marzo 2023, n. 3006; sez. II, 13 febbraio 2023, n. 1489; sez. IV, 19 maggio 2020, n. 3170.

[10] Cons. Stato, sez. IV, 30 maggio 2022, n. 4356. Cfr. TAR Campania, Salerno, sez. II, 19 giugno 2023, n. 1443, ove è stata ritenuta illegittima un’ordinanza di demolizione di un immobile per l’assenza del permesso di costruire nel caso di sussistenza di idonei elementi probatori in ordine alla realizzazione del manufatto in data antecedente al 1° settembre 1967: veniva prodotto un atto notarile ed un’ordinanza del Tribunale ove si rilevava che «l’immobile in questione è stato costruito prima del 01.09.1967, con la conseguenza che le disposizioni normative contenute della l. 47/85 e nel T.U. 380/2001 (che sanzionano con la nullità gli atti inter vivos di trasferimento di diritti su beni immobili non in regola con la normativa urbanistica, privi cioè della concessione edilizia o del permesso a costruire) si applicano solo agli immobili edificati a partire dal 01.09.1967».