La sez. V del Consiglio di Stato, con la sentenza 11 settembre 2025, n. 7288 (Estensore Fasano), espone in chiaro tutti i profili e la natura della servitù di uso pubblico, quando un bene privato si spoglia del dominio esclusivo del suo proprietario per volontà formalmente espressa, oppure lasciando transitare i terzi (uti cives) senza anteporre ostacoli (non di precarietà e tolleranza)[1], tale che la continuità del transito subito (anche inconsapevolmente) ne priva la facoltà di disporne in via esclusiva, pur mantenendo la titolarità reale del bene:
- nel primo caso avviene con atto scritto;
- nel secondo caso mediante usucapione o dicatio ad patriam.
In entrambe le circostanze la PA è titolata a garantire l’uso pubblico (ossia a favore della collettività indistinta) sia in via amministrativa che giurisdizionale, con obbligo di intervento per la cura degli interessi pubblici sul bene gravato.
La servitù
La servitù di passaggio su una strada privata esige che sia[2]:
- utilizzata da una collettività indeterminata di persone e non soltanto da quei soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato (esercitato juris servitutis publicae da una collettività di persone);
- concretamente idonea a soddisfare, attraverso il collegamento anche indiretto alla pubblica via, esigenze di interesse generale;
- oggetto di interventi di manutenzione da parte della Pubblica Amministrazione.
In effetti, la destinazione ad uso pubblico può avvenire ab immemorabili quando il bene (sedime di un’area, tracciato, sentiero, piazza, strada) risulta da molto tempo (decenni/secoli) frequentato (utilizzato) con una funzione tipica a vantaggio non del singolo ma della popolazione, legittimando l’Amministrazione a intervenire per ripristinare l’uso[3].
L’istituto dell’immemorabile si caratterizza per una risalenza nel tempo di situazioni fattuali “cuius memoria non extat”, da cui si presume l’esistenza di un titolo legittimo corrispondente, realizzando una fattispecie analoga, per dir così, alla regola di legittimazione relativa al possesso di beni mobili non registrati, di cui all’art. 1153 cod. civ., che costituisce trascrizione del principio, fissato dal codice civile napoleonico, secondo cui “en fait de meublespossession vaut titre”, altrimenti qualificata come “prescription istantanée”[4].
La verifica dell’esistenza di una servitù pubblica di passaggio deve essere effettuata in base al generale principio di cui all’art. 2697 cod. civ, secondo cui l’onere della prova di questa limitazione del diritto dominicale incombe in capo a chi ne afferma la sussistenza[5].
Fatto
Nella sua essenzialità, la vicenda trae origine da una autorizzazione per l’occupazione permanente di spazi e aree pubbliche per il posizionamento di un gazebo (per attività commerciali), dove il privato contesta la proprietà esclusiva, e quandanche vi fosse la presenza di un ipotetico uso pubblico, la PA non sarebbe stata titolare di una potestà di rendere permanente l’occupazione a favore di un privato: un uso esclusivo del privato sul un bene di proprietà privata.
In prima istanza, veniva appurata la costituzione di una “servitù di uso pubblico”, acquistata a titolo originario dal Comune per usucapione, tenuto conto della intrinseca idoneità del bene ad essere utilizzato da parte di una collettività indifferenziata di persone, con piena legittimazione a disporre l’uso; donde il ricorso in appello.
Merito
Il ricorso risulta infondato, con condanna alle spese, avendo appurato da una relazione della PA (uso ultratrentennale da parte della collettività indistinta, documentazione fotografica, realizzazione di lavori pubblici risalente agli anni settanta e fine novecento)[6] che l’area risulta da regolamento di uso «continuativo da parte della collettività indifferenziata protratto da un cospicuo lasso di tempo, anche nell’ipotesi che essa potesse avere in una lontanissima origine natura privata, le ha fatto assumere caratteristiche del tutto analoghe a quelle di un bene pubblico o soggetto a servitù di uso pubblico», nonché l’assenza di atti impeditivi all’utilizzo da parte del proprietario (ad es. delimitazione dell’area da paletti, catene e pennellature ecc.).
In questo senso, la servitù ad uso pubblico sussiste ogni volta in cui il comportamento del proprietario, pur se non intenzionalmente diretto a dare vita al diritto di uso pubblico, ponga un proprio bene, con carattere di continuità, a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, al fine di soddisfare un’esigenza comune ai membri della collettività uti cives e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione giuridica qualificata rispetto al bene gravato, indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto.
La costituzione del diritto di servitù di uso pubblico, oltre che per atto scritto[7], può avvenire:
- per usucapione: quando concorrono le seguenti condizioni: l’uso generalizzato del passaggio (o di utilizzo) da parte di una collettività indeterminata di individui, l’oggettiva idoneità del bene a soddisfare il fine di pubblico interesse, il protrarsi per il tempo necessario per l’usucapione;
- per dicatio ad patriam: consiste nel comportamento del proprietario che, se pur non intenzionalmente diretto a dare vita al diritto di uso pubblico, mette volontariamente, con carattere di continuità, e non precariamente, un proprio bene a disposizione della collettività.
Poteri
Una volta accertato l’uso pubblico (ovvero, le esigenze di soddisfare un interesse pubblico generale, identificato in una collettività indistinta di persone, che ne beneficiano uti cives):
- il proprietario non perde il diritto di proprietà del bene;
- la PA, non essendo titolare del diritto dominicale, bensì di un mero diritto reale parziario su di un bene privato, può agire a sua tutela;
- individuato il fondamento della proprietà s’individua non tanto un diritto reale minore attivo (di ‘privativa’) in capo alla Pubblica Amministrazione o al concessionario titolari del fondo dominante, quanto piuttosto un diritto soggettivo all’uso, anche indiretto, di quest’ultimo e delle sue utilità da parte della collettività;
- l’autorizzazione amministrativa (che non costituisce una servitù a favore di terzi: il beneficiario dello spazio) persegue in concreto l’interesse pubblico indiretto di consentire uti cives di usufruire degli spazi su cui l’Amministrazione ha usucapito una servitù di uso pubblico, in maniera regolamentata, secondo i criteri individuati dal Regolamento comunale a tutela del decoro urbanistico del sito, ciò al fine di usufruire dei servizi dell’attività commerciale.
La sentenza, nella chiara rappresentazione dei criteri identificativi di una servitù pubblica, riconferma un dato consolidato attinente all’esercizio del diritto di proprietà che riflette una modalità di utilizzo dei propri beni: il privato quando consente – volutamente o tacitamente – di disporre liberamente a terzi (il popolo) il transito consolida, con la sua condotta, un’indifferenza ad un utilizzo esclusivo, consolidando con il tempo la perdita non della proprietà ma dell’uso usucapito da parte della collettività, rimettendo alla PA la sua tutela e disponibilità.
[1] Cfr. TAR Veneto, sez. I, 20 giugno 2025, n. 1015.
[2] Cons. Stato, sez. VI, 10 maggio 2013, n. 2544.
[3] Cfr. TAR Piemonte, sez. I, 12 maggio 2024, n. 483.
[4] Cons. Stato, sez. IV, 8 novembre 2013, n. 5337.
[5] TAR Puglia, Bari, sez. III, 4 dicembre 2020, n. 1570.
[6] La valutazione in ordine alla contestazione dei provvedimenti di classificazione di una strada – come di proprietà pubblica o dedita all’uso pubblico – viene rimessa alla giurisdizione del giudice civile, involgendo pretese di accertamento di un diritto soggettivo, nondimeno, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo quando la verifica in ordine all’esistenza di una servitù di uso pubblico sulla strada o della sua demanialità è finalizzata a stabilire se i provvedimenti comunali siano o meno legittimi, Cons. Stato, sez. VII, 18 agosto 2025, n. 7051. Il Giudice Amministrativo, ai sensi dell’art. 8 cpa, ha il potere di accertare, incidenter tantum, (dunque con effetti limitati al giudizio concernente la legittimità degli atti impugnati) la natura vicinale, pubblica o privata, della strada, dal momento che tale questione costituisce un presupposto degli atti sottoposti al suo esame in via principale, TAR Puglia, Lecce, sez. III, 6 agosto 2025, n. 1284. Idem, CGA, sez. giur., 28 luglio 2025, n. 609; TAR Lombardia, Milano, sez. III, 11 luglio 2025, n. 2629.
[7] Cfr. TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 30 aprile 2024, n. 360. Un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico può identificarsi anche nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile, ossia nel comportamento della collettività contrassegnato dalla convinzione di esercitare il diritto d’uso della strada, TAR Sicilia, Catania, sez. I, 4 aprile 2024, n. 1300.
