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Articolo Pubblicato il 1 Novembre, 2025

L’assicurazione per colpa grave dei progettisti e verificatori interni alla P.A.

L’assicurazione per colpa grave dei progettisti e verificatori interni alla P.A.
  1. Il dictum

Con la deliberazione delle sez. Autonomie della Corte dei conti, del 17 ottobre 2025, n. 19 (relatore Cons. GLINIANSKI), dal titolo Ambito applicativo dell’obbligo di copertura assicurativa dei progettisti e verificatori ai sensi del d.lgs. n. 36/2023, nell’esercizio del suo potere nomofilattico su una questione sottoposta dalla sez. contr. Toscana, interviene per definire la piena legittimità della copertura assicurativa dei danni (i rischi) derivanti dall’esercizio dell’attività “professionale” del progettista e del verificatore (interni alla PA), in deroga al generale divieto di assicurazione della responsabilità amministrativo-contabile, alla luce della nuova disciplina del Codice dei contratti pubblici, improntato, tra i molti, al principio della fiducia (fides, lealtà comportamentale e rispetto dei patti).

  1. La specialità della fonte

Ciò posto, la Sezione ritiene che la specialità della norma possa consentire un esito diverso, pur mantenendo ferma l’impostazione generale, basandosi su una serie di considerazioni attinenti alla specialità della disciplina codificata dal d.lgs. n. 36/2023:

  • gli incarichi interni ammissibili ex lege;
  • l’interesse proprio dell’Amministrazione;
  • l’oggetto (contenuto del rischio) della copertura assicurativa;
  • l’equiparazione di responsabilità dei professionisti esterni con quelli interni;
  • i limiti alle specifiche figure del progettista e verificatore.
  1. La questione centrale

In questa contaminazione di norme codicistiche, che costituisce la questione centrale della responsabilità professionale e del pronunciamento sulla legittimità di procedere ad assicurare i progettisti e verificatori (nell’interesse utilitaristico anche dell’Amministrazione di riferimento), riversabile in caso di sinistri (appunto, i danni) sull’Amministrazione in forza dell’azione di “regresso”, la copertura assicurativa sterilizzerebbe gli effetti creditori, salvaguardando il bilancio dai dovuti esborsi, esclusa ovviamente nell’ipotesi di condotta dolosa.

Viene valorizzata la disciplina in materia di contratto d’opera implicante la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, dove l’esperibilità dell’azione di risarcimento dei danni ad opera della parte terza si limiterebbe ai soli casi di dolo o colpa grave (in questo caso l’obbligo di diligenza qualificata si estrinseca nell’adeguato sforzo tecnico, con impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili in relazione alla natura dell’attività esercitata) [25].

La norma cit. deroga la regola generale di cui all’art. 1176, Diligenza nell’adempimento, c.c., secondo cui il debitore risponde anche per colpa lieve: il comma secondo prevede che «nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata».

Ne deriva che il professionista, nell’espletamento della prestazione promessa, è obbligato, ai sensi dell’art. 1176 c.c., ad usare la diligenza del buon padre di famiglia, la cui violazione comporta inadempimento contrattuale di cui lo stesso risponde anche per colpa lieve, perdendo il diritto al compenso [26].

Va chiarito, invero, che l’art. 1176, comma 2, c.c., risulta applicabile nei confronti di tutti i professionisti (secondo le regole e gli strumenti tecnici del settore professionale), quale criterio generale di imputazione della responsabilità, mentre l’art. 2236 c.c. è norma eccezionale applicabile ai soli professionisti intellettuali e limitatamente alla risoluzione di problemi tecnici di particolare complessità, che non rientrano tra la competenza e preparazione media [27].

In effetti, re melius perpensa, ai sensi dell’art. 1176 c.c., regola normalmente la responsabilità del professionista, il prestatore di opera intellettuale, obbligato ad osservare nell’adempimento dell’obbligazione la diligenza del buon padre di famiglia, rispondendo anche per colpa lieve, mentre, soltanto qualora la prestazione implichi la soluzione di problemi di particolare difficoltà, il professionista è tenuto al risarcimento dei danni unicamente per dolo o colpa grave, essendo in tale ipotesi prevista dall’art. 2236 c.c. – in deroga alle norme generali – l’attenuazione della responsabilità (presupposto deve essere provato dal professionista) [28].

La distinzione fra prestazione di facile esecuzione e prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà non rileva quale criterio di ripartizione dell’onere della prova, ma soltanto ai fini della valutazione del grado della diligenza e del corrispondente grado della colpa del professionista, gravando su quest’ultimo (rectius sull’Amministrazione), in caso di inesatta prestazione, sia l’onere di dimostrare la particolare difficoltà della prestazione, sia l’onere di provare che il risultato della stessa, non rispondente a quello convenuto, è dipeso da fatto a sé non imputabile in quanto non ascrivibile alla propria condotta conforme alla diligenza qualificata, dovuta in relazione alle specifiche circostanze del caso concreto [29].

In dipendenza di ciò, risulta coerente la limitazione di responsabilità prevista dall’art. 2236 c.c. per il professionista, con riferimento al caso di prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, interviene esclusivamente nelle ipotesi di imperizia che possano essere giustificate dalla particolare complessità o novità dell’opera richiesta, e non si estende alle ipotesi in cui la prestazione professionale sia stata viziata da negligenza o imprudenza, ossia quando vi sia stata violazione del dovere di normale diligenza professionale media esigibile, ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c., rispetto alla quale rileva anche la colpa lieve [30].

In questo senso, la relazione tra gli artt. 1176 e 2236 c.c. è di integrazione per complementarietà e non già per specialità, cosicché vale come regola generale quella della diligenza del buon professionista (ex art. 1176, comma secondo, c.c.) con riguardo alla natura dell’attività prestata, mentre quando la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà opera la successiva norma dell’art. 2236 c.c., delimitando la responsabilità professionale al dolo o alla colpa grave [31].

La soluzione ottimale, coerente con il principio di fiducia e di prudenza (finanziaria), conduce a garantire tutela alla prestazione professionale resa dal dipendente, senza esporlo a rischi di rivendicazione da parte di terzi e/o della stessa Amministrazione nell’esecuzione della prestazione, con benefici sulla spesa pubblica: l’Amministrazione chiamerà a garanzia (in ogni caso) la compagnia di assicurazione.

  1. La massima

Alla luce dell’apporto normativo e esegetico si raggiunge al seguente principio di diritto: «Fermo restando il generale divieto di assicurazione della responsabilità amministrativo-contabile, l’obbligo di copertura assicurativa dei dipendenti, previsto dal Codice dei contratti pubblici, costituisce norma speciale sopravvenuta rispetto all’art. 3, comma 59, della legge n. 244/2007. Di conseguenza, tale divieto non si applica alla copertura dei danni derivanti dall’esercizio dell’attività professionale del progettista e del verificatore dipendenti pubblici, nello svolgimento delle funzioni di cui all’allegato I.10, del d.lgs. n. 36/2023, indipendentemente dal grado di colpa, ferma restando l’esclusione dei danni derivanti da fatti dolosi (art. 1900 c.c.). La deroga non si estende, tuttavia, ad altre forme di copertura assicurativa del dipendente non espressamente previste dalla legge».

  1. Proiezioni

Muovendo da tale impostazione di diritto, in una lineare e chiara esposizione, non vi è dubbio che l’equiparazione di tutela tra tecnici pubblici e privati, consente di eseguire la prestazione senza riserve, rispondendo ad una esigenza di sostenere i possibili rischi di errori ed evitare fughe prestazionali, non tanto legate (come si pretenderebbe) alla “paura della firma” (un aggravio psicologico fondato su irriducibili visioni sociologiche) quanto ad un apparato normativo in perenne evoluzione (riforme di riforme, nuove codificazioni entro archi temporali ristretti, coabitando discipline differenziate, come nella contabilità degli Enti locali), stratificando oneri sempre a carico, in invarianza di spesa, del dipendente pubblico, svilito dall’abnormità di adempimenti privi di una reale produttività ma richiesti, con non evitabili sovrapposizioni di compiti (e implementazione di banche dati) definiti “semplificazione”.

Si osserva, inoltre, che la proposta del d.d.l. di riforma della Corte dei conti [32], all’art. 1, comma 1 novies, prevede che «una quota del trattamento economico accessorio spettante al dirigente incaricato di gestire risorse pubbliche è destinata dall’amministrazione alla stipulazione di una polizza assicurativa a copertura dei danni patrimoniali cagionati all’amministrazione stessa per colpa grave dal dirigente medesimo», rispondendo alle medesime esigenze (e ad altre), osservando che le indicazioni della pronuncia costituiscono un cangiante indirizzo sull’obbligatorietà dell’assicurazione a spese dell’Amministrazione, dovendo distinguere (nel futuro) tra dipendenti incaricati della progettazione e verificazione (assicurati dall’Amministrazione nei termini descritti), dagli altri che rimarrebbero obbligati ad una assicurazione a spese proprie.

Non sfugge, altresì, che la mancata copertura assicurativa costituirebbe un danno da colpa grave a carico della persona che non si è attivata per la stipulazione del contratto, quando l’Amministrazione viene evocata in giudizio e condannata; colpa grave coperta dal consolidamento dello scudo erariale.

Senza indugiare oltre, il pregio del nuovo indirizzo è quello di attualizzare una nuova prospettiva dell’agire amministrativo, di persone che laboriosamente (secondo la regola benedettina) assolvono una funzione pubblica al servizio dei cittadini (ex art. 98 Cost.), secondo i nuovi principi del Codice dei contratti pubblici, dove il conflitto di interessi deve essere dimostrato, dove il risultato sostanziale risulta un parametro di legittimità, dove il principio della fiducia risulta immanente (in un’ottica etica).

Una profilazione del diritto basata sul principio della fiducia, che dovrebbe caratterizzare le relazioni e le condotte tra esseri viventi (non res), dando umanità ai rapporti intercorrenti tra Amministrazione, operatori economici e apparato, strutture organizzative fatte di persone fisiche emotivamente esposte e non di entità algoritmiche, persone costruite dalla legge (una fictio iuris) passate da cervelli elettronici a intelligenza artificiale, con identità digitale che controllano tutto, incapaci di sbagliare, anaffettivi e, quindi, irresponsabili.

(estratto, LexItalia.it, 30 ottobre 2025, n. 10)