«Libero Pensatore» (sempre)

La sez. VI del Consiglio di Stato, con la sentenza 21 dicembre 2020, n. 8171, estensore Russo, interviene per riaffermare un consolidato orientamento che consente alla P.A. di sanzionare gli abusi edilizi, esercitando l’inesauribile potere di vigilanza sul territorio a tutela della corretta pianificazione, presupposto essenziale per l’adozione di provvedimenti ripristinatori o di condono una volta “espiato” il pagamento pecuniario.

La sentenza, al di là della questione trattata, ha chiarito in modo preciso come la sanzione applicata, resa a fronte di un’attività edilizia abusiva, costituisce un illecito permanente, e si atteggia come misura reale imposta per ragioni di tutela del territorio, priva di finalità punitive ed efficace contro ogni soggetto che vanti sul bene, così realizzato sine titulo, un diritto reale o personale di godimento, indipendentemente dall’esser stato, o no, l’autore dell’illecito.

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Abusi edilizi: la sanzione ha natura reale non personale

Abusi edilizi: la sanzione ha natura reale non personale

La sez. VI del Consiglio di Stato, con la sentenza 21 dicembre 2020, n. 8171, estensore Russo, interviene per riaffermare un consolidato orientamento che consente alla P.A. di sanzionare gli abusi edilizi, esercitando l’inesauribile potere di vigilanza sul territorio a tutela della corretta pianificazione, presupposto essenziale per l’adozione di provvedimenti ripristinatori o di condono una volta “espiato” il pagamento pecuniario.

La sentenza, al di là della questione trattata, ha chiarito in modo preciso come la sanzione applicata, resa a fronte di un’attività edilizia abusiva, costituisce un illecito permanente, e si atteggia come misura reale imposta per ragioni di tutela del territorio, priva di finalità punitive ed efficace contro ogni soggetto che vanti sul bene, così realizzato sine titulo, un diritto reale o personale di godimento, indipendentemente dall’esser stato, o no, l’autore dell’illecito.

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La sez. VI del Consiglio di Stato, con la sentenza 25 maggio 2020 n. 3277 (Est. Lamberti), conferma un orientamento consolidato sull’insussistenza di un dovere generalizzato dell’Amministrazione di provvedere sulle istanze di autotutela, anche in campo edilizio.

È noto che il ricorso all’autotutela (mediante annullamento d’ufficio) può avvenire solamente ricorrendo alle condizioni di cui all’art. 21 nonies della legge n. 241/1990, ovvero sussistendo le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati.

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Sollecito di autotutela in ambito edilizio

Sollecito di autotutela in ambito edilizio

La sez. VI del Consiglio di Stato, con la sentenza 25 maggio 2020 n. 3277 (Est. Lamberti), conferma un orientamento consolidato sull’insussistenza di un dovere generalizzato dell’Amministrazione di provvedere sulle istanze di autotutela, anche in campo edilizio.

È noto che il ricorso all’autotutela (mediante annullamento d’ufficio) può avvenire solamente ricorrendo alle condizioni di cui all’art. 21 nonies della legge n. 241/1990, ovvero sussistendo le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati.

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Il vincolo cimiteriale, previsto dall’art. 338 del Regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, limita in via assoluta la capacità edificatoria e legale del bene privato e non trova eccezioni di sorta, indipendentemente dal suo recepimento in strumenti urbanistici.

È noto che il vincolo cimiteriale, previsto dall’art. 338 del R.d. n. 1265/1934 (come modificato dapprima dall’art. 4 della Legge 30 marzo 2001, n. 130 e quindi dall’art. 28, comma 1, lettera a), della Legge 1° agosto 2002, n. 166), ha natura assoluta e si impone – in quanto limite legale – anche alle eventuali diverse e contrastanti previsioni degli strumenti urbanistici (Cons. Stato, sez. IV, 12 maggio 2014, n. 2405).

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Il vincolo cimiteriale e la sanatoria degli abusi edilizi

Il vincolo cimiteriale e la sanatoria degli abusi edilizi

Il vincolo cimiteriale, previsto dall’art. 338 del Regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, limita in via assoluta la capacità edificatoria e legale del bene privato e non trova eccezioni di sorta, indipendentemente dal suo recepimento in strumenti urbanistici.

È noto che il vincolo cimiteriale, previsto dall’art. 338 del R.d. n. 1265/1934 (come modificato dapprima dall’art. 4 della Legge 30 marzo 2001, n. 130 e quindi dall’art. 28, comma 1, lettera a), della Legge 1° agosto 2002, n. 166), ha natura assoluta e si impone – in quanto limite legale – anche alle eventuali diverse e contrastanti previsioni degli strumenti urbanistici (Cons. Stato, sez. IV, 12 maggio 2014, n. 2405).

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Impossessamento abusivo di proprietà pubblica e dovere di provvedere

La classificazione di una strada come di proprietà pubblica necessità:

  • il transito pubblico;
  • necessariamente deve sussistere una manifestazione espressa della destinazione per la collettività;
  • l’uso del bene deve assolvere una destinazione pubblica;
  • un valido titolo di proprietà del suolo da parte della P.A.;
  • (alternativamente al titolo di proprietà un diritto di servitù pubblica).

È noto che l’uso pubblico non è collegato al relativo dominio pubblico: può essere impresso anche ad una strada privata o “vicinale” soggetto a pubblico transito, ex art. 825 del codice civile, dove si postulano i “diritti demaniali su beni altrui”, quando «i diritti stessi sono costituiti per l’utilità di alcuno dei beni indicati dagli articoli precedenti o per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi».

Ne consegue che l’uso pubblico di un bene non implica necessariamente la coeva titolarità del diritto di proprietà o di altro diritto reale.

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Abusiva occupazione di strada pubblica e obbligo di provvedere

Abusiva occupazione di strada pubblica e obbligo di provvedere

Impossessamento abusivo di proprietà pubblica e dovere di provvedere

La classificazione di una strada come di proprietà pubblica necessità:

  • il transito pubblico;
  • necessariamente deve sussistere una manifestazione espressa della destinazione per la collettività;
  • l’uso del bene deve assolvere una destinazione pubblica;
  • un valido titolo di proprietà del suolo da parte della P.A.;
  • (alternativamente al titolo di proprietà un diritto di servitù pubblica).

È noto che l’uso pubblico non è collegato al relativo dominio pubblico: può essere impresso anche ad una strada privata o “vicinale” soggetto a pubblico transito, ex art. 825 del codice civile, dove si postulano i “diritti demaniali su beni altrui”, quando «i diritti stessi sono costituiti per l’utilità di alcuno dei beni indicati dagli articoli precedenti o per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi».

Ne consegue che l’uso pubblico di un bene non implica necessariamente la coeva titolarità del diritto di proprietà o di altro diritto reale.

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