«Libero Pensatore» (è tempo di agire)

Il T.A.R. Liguria, sezione I, con la sentenza 704/2013, interviene sull’interpretazione dell’articolo 20 della Legge 241 del 1990 (strumento di semplificazione), ovvero “nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all’interessato, nei termini” il provvedimento di diniego o indice una conferenza di servizi, superando l’inerzia della P.A. con il divenire di un “assenso” previsto astrattamente dalla legge e concretamente anelato dal privato con la presentazione dell’istanza.

È subito da precisare che l’articolo 2, della Legge n.241 del 1990, prevede un provvedimento espresso e la Legge n.190 del 2012 attenziona – il mancato rispetto dei termini di conclusione del procedimento – quali indicatori di attività potenzialmente a rischio (“corruttiva”) sanzionabile sotto diversi profili (il ritardo nell’emanazione di un atto amministrativo è elemento sufficiente per configurare un danno ingiusto, con conseguente obbligo di risarcimento, Cons. Stato, sez. IV, 7 marzo 2013, n. 1406).

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Silenzio assenso e attività istruttoria

Il T.A.R. Liguria, sezione I, con la sentenza 704/2013, interviene sull’interpretazione dell’articolo 20 della Legge 241 del 1990 (strumento di semplificazione), ovvero “nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all’interessato, nei termini” il provvedimento di diniego o indice una conferenza di servizi, superando l’inerzia della P.A. con il divenire di un “assenso” previsto astrattamente dalla legge e concretamente anelato dal privato con la presentazione dell’istanza.

È subito da precisare che l’articolo 2, della Legge n.241 del 1990, prevede un provvedimento espresso e la Legge n.190 del 2012 attenziona – il mancato rispetto dei termini di conclusione del procedimento – quali indicatori di attività potenzialmente a rischio (“corruttiva”) sanzionabile sotto diversi profili (il ritardo nell’emanazione di un atto amministrativo è elemento sufficiente per configurare un danno ingiusto, con conseguente obbligo di risarcimento, Cons. Stato, sez. IV, 7 marzo 2013, n. 1406).

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La prima sezione del T.A.R. Marche con la sentenza 23 maggio 2013 n. 370 interviene sul criterio di rotazione degli incarichi che non può prescindere dalla verifica – accertamento della professionalità del titolare dell’incarico: tutto questo ai fini di non procedere a un depauperamento delle risorse umane di cui l’Ente locale dispone.

Il decreto Sindacale, in sede di affidamento degli incarichi dirigenziali, in applicazione del principio di rotazione degli stessi incarichi, che ha trasferito un architetto a dirigere il Settore Affari Generali e un ingegnere a dirigere il Settore della Polizia Municipale dell’Ente contrasta con i principi di buon andamento in quando non vi è stata alcuna motivazione sulla verifica della professionalità limitandosi al richiamo del principio della rotazione.

È noto (T.A.R. Liguria, Genova, sez. I, 19.10.2007) che l’assegnazione o attribuzione del procedimento da parte del dirigente/responsabile del servizio integra una delega di funzioni ed in casi specifici la delega di firma (con competenza ad adottare l’atto finale).

Si tratta di una attribuzione di compiti: “organizzazione/distribuzione” di compiti comunque istituzionali. Compiti che non sono qualificabili né come particolari e, tantomeno, si tratta di attribuzioni di mansioni superiori.

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La rotazione degli incarichi non ha finalità disciplinari

La prima sezione del T.A.R. Marche con la sentenza 23 maggio 2013 n. 370 interviene sul criterio di rotazione degli incarichi che non può prescindere dalla verifica – accertamento della professionalità del titolare dell’incarico: tutto questo ai fini di non procedere a un depauperamento delle risorse umane di cui l’Ente locale dispone.

Il decreto Sindacale, in sede di affidamento degli incarichi dirigenziali, in applicazione del principio di rotazione degli stessi incarichi, che ha trasferito un architetto a dirigere il Settore Affari Generali e un ingegnere a dirigere il Settore della Polizia Municipale dell’Ente contrasta con i principi di buon andamento in quando non vi è stata alcuna motivazione sulla verifica della professionalità limitandosi al richiamo del principio della rotazione.

È noto (T.A.R. Liguria, Genova, sez. I, 19.10.2007) che l’assegnazione o attribuzione del procedimento da parte del dirigente/responsabile del servizio integra una delega di funzioni ed in casi specifici la delega di firma (con competenza ad adottare l’atto finale).

Si tratta di una attribuzione di compiti: “organizzazione/distribuzione” di compiti comunque istituzionali. Compiti che non sono qualificabili né come particolari e, tantomeno, si tratta di attribuzioni di mansioni superiori.

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Il T.A.R. Piemonte, sez. II, con la sentenza 7 maggio 2013 n. 558 interviene sulle determinazioni della Commissione Elettorale Circondariale di Asti, con il quale è stata deliberata la ricusazione della Lista Fascismo e Libertà per le elezioni amministrative del Comune di Tonengo.

Il giudice di prime cure non entra nel merito delle eccezioni di rito ma afferma immediatamente che il ricorso è infondato nel merito e va respinto.

Viene richiamato il precedente della quinta sezione del Consiglio di Stato (sentenza n. 1354 del 6 marzo 2013) con la quale è stato affermato che:

a. nel quadro costituzionale entro il quale si iscrive la disciplina che regola il procedimento elettorale e che fissa i poteri delle commissioni elettorali, si deve ritenere che i casi di esclusione e di correzione dei contrassegni e delle liste elettorali presuppongono implicitamente la legittimazione costituzionale del movimento o partito politico, alla stregua della XII disposizione di attuazione e transitoria della Costituzione che vieta la riorganizzazione del disciolto partito fascista (“È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. In deroga all’articolo 48, sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dall’entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista”);

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Ricusazione dei simboli riconducibili al disciolto partito fascista

Il T.A.R. Piemonte, sez. II, con la sentenza 7 maggio 2013 n. 558 interviene sulle determinazioni della Commissione Elettorale Circondariale di Asti, con il quale è stata deliberata la ricusazione della Lista Fascismo e Libertà per le elezioni amministrative del Comune di Tonengo.

Il giudice di prime cure non entra nel merito delle eccezioni di rito ma afferma immediatamente che il ricorso è infondato nel merito e va respinto.

Viene richiamato il precedente della quinta sezione del Consiglio di Stato (sentenza n. 1354 del 6 marzo 2013) con la quale è stato affermato che:

a. nel quadro costituzionale entro il quale si iscrive la disciplina che regola il procedimento elettorale e che fissa i poteri delle commissioni elettorali, si deve ritenere che i casi di esclusione e di correzione dei contrassegni e delle liste elettorali presuppongono implicitamente la legittimazione costituzionale del movimento o partito politico, alla stregua della XII disposizione di attuazione e transitoria della Costituzione che vieta la riorganizzazione del disciolto partito fascista (“È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. In deroga all’articolo 48, sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dall’entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista”);

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La Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Campania, con il parere n.141 del 10 aprile 2013, interviene per riaffermare che la disciplina degli incentivi di progettazione è ascrivibile solo agli interventi in materia di “lavori pubblici” (LL.PP.), escludendo di riflesso gli atti di pianificazione urbanistica non collegati direttamente alle opere da eseguire; ovvero non è ipotizzabile il pagamento di un compenso per la redazione di piani o varianti urbanistiche non funzionali all’esecuzione di LL.PP.

Il pronunciamento avviene a seguito di una richiesta tesa a conoscere la “configurabilità ed all’ambito di applicazione dell’istituto giuridico dell’incentivo al personale interno per l’affidamento dell’attività di progettazione urbanistica ai sensi dell’art. 92 comma 6 del Codice degli Appalti, nonché, in relazione ai limiti contemplati dall’art. 9 comma 2 bis del D.L. n. 78/2010, con riferimento al computo delle medesime voci incentivanti”.

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Incentivi di pianificazione esclusi in assenza di oo.pp.

La Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Campania, con il parere n.141 del 10 aprile 2013, interviene per riaffermare che la disciplina degli incentivi di progettazione è ascrivibile solo agli interventi in materia di “lavori pubblici” (LL.PP.), escludendo di riflesso gli atti di pianificazione urbanistica non collegati direttamente alle opere da eseguire; ovvero non è ipotizzabile il pagamento di un compenso per la redazione di piani o varianti urbanistiche non funzionali all’esecuzione di LL.PP.

Il pronunciamento avviene a seguito di una richiesta tesa a conoscere la “configurabilità ed all’ambito di applicazione dell’istituto giuridico dell’incentivo al personale interno per l’affidamento dell’attività di progettazione urbanistica ai sensi dell’art. 92 comma 6 del Codice degli Appalti, nonché, in relazione ai limiti contemplati dall’art. 9 comma 2 bis del D.L. n. 78/2010, con riferimento al computo delle medesime voci incentivanti”.

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Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, seconda sezione, con la sentenza n.6884 del 1 agosto 2011 (sentenza sospesa dal Consiglio di Stato) stabilisce l’illegittimità dell’art. 24, comma 2, del Regolamento di amministrazione (Agenzia delle entrate), nel testo risultante dalla delibera del Comitato di gestione n.55 del 22 dicembre 2009 ove si stabilisce che “per inderogabili esigenze di funzionamento dell’Agenzia, le eventuali vacanze sopravvenute possono essere provvisoriamente coperte, previo interpello e salva l'urgenza, con le stesse modalità di cui al comma 1 (cioè, mediante la stipula di contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari, con l’attribuzione dello stesso trattamento economico dei dirigenti) fino all’attuazione delle procedure di accesso alla dirigenza e comunque fino al 31 dicembre 2010.

La delibera citata, come già analoghe delibere adottate fin dal 2006, viene annotato dal Tribunale, ha perpetuato fino al 31 dicembre 2010 la prassi del conferimento di incarichi dirigenziali, asseritamente in provvisoria reggenza, a copertura di posizioni dirigenziali vacanti; detti incarichi, però, conferiti senza l’espressa indicazione di un termine di durata, e sostanzialmente prorogati di anno in anno, risultano espletati da funzionari non dirigenti, senza che l’Agenzia delle Entrate abbia contemporaneamente provveduto a bandire le procedure concorsuali per l’accesso alla qualifica dirigenziale e implicano indiscutibilmente l’espletamento di mansioni superiori dirigenziali da personale privo della relativa qualifica

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Cartelle esattoriali firmate dal dirigente (nominato senza concorso) sono nulle

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, seconda sezione, con la sentenza n.6884 del 1 agosto 2011 (sentenza sospesa dal Consiglio di Stato) stabilisce l’illegittimità dell’art. 24, comma 2, del Regolamento di amministrazione (Agenzia delle entrate), nel testo risultante dalla delibera del Comitato di gestione n.55 del 22 dicembre 2009 ove si stabilisce che “per inderogabili esigenze di funzionamento dell’Agenzia, le eventuali vacanze sopravvenute possono essere provvisoriamente coperte, previo interpello e salva l'urgenza, con le stesse modalità di cui al comma 1 (cioè, mediante la stipula di contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari, con l’attribuzione dello stesso trattamento economico dei dirigenti) fino all’attuazione delle procedure di accesso alla dirigenza e comunque fino al 31 dicembre 2010.

La delibera citata, come già analoghe delibere adottate fin dal 2006, viene annotato dal Tribunale, ha perpetuato fino al 31 dicembre 2010 la prassi del conferimento di incarichi dirigenziali, asseritamente in provvisoria reggenza, a copertura di posizioni dirigenziali vacanti; detti incarichi, però, conferiti senza l’espressa indicazione di un termine di durata, e sostanzialmente prorogati di anno in anno, risultano espletati da funzionari non dirigenti, senza che l’Agenzia delle Entrate abbia contemporaneamente provveduto a bandire le procedure concorsuali per l’accesso alla qualifica dirigenziale e implicano indiscutibilmente l’espletamento di mansioni superiori dirigenziali da personale privo della relativa qualifica

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La “trasparenza” dell’attività della pubblica amministrazione costituisce un principio immanente nell’ordinamento giuridico, è inserita (sotto il profilo legislativo) tra i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i “diritti sociali e civili” che devono essere assicurati in tutto il territorio nazionale, viene intesa come accessibilità totale (on line) ad una serie di informazioni relative all’organizzazione gestionale e delle risorse pubbliche, rappresenta una manifestazione di compiuta “pubblicità” in tema di appalti pubblici, il tutto allo scopo di favorire un diffuso controllo da parte dei cittadini e contrastare il fenomeno della “corruzione”.

 Si potrebbe affermare (nella contrattualistica pubblica) che il perseguimento dell’interesse pubblico (ex art.97 Cost.) non può avvenire se non attraverso procedure rispettose della “trasparenza”, in grado di garantire la “par condicio” e la “concorrenza”, profili sostanziali coincidenti con il concetto comunitario di “pubblicità” e “apertura al mercato”, in evidente distonia con procedure negoziate e dirette (ex trattativa privata), incapaci di accertare una reale ed effettiva “comparazione” tra più offerenti.

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La scelta del contraente deve avvenire con procedure trasparenti

La “trasparenza” dell’attività della pubblica amministrazione costituisce un principio immanente nell’ordinamento giuridico, è inserita (sotto il profilo legislativo) tra i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i “diritti sociali e civili” che devono essere assicurati in tutto il territorio nazionale, viene intesa come accessibilità totale (on line) ad una serie di informazioni relative all’organizzazione gestionale e delle risorse pubbliche, rappresenta una manifestazione di compiuta “pubblicità” in tema di appalti pubblici, il tutto allo scopo di favorire un diffuso controllo da parte dei cittadini e contrastare il fenomeno della “corruzione”.

 Si potrebbe affermare (nella contrattualistica pubblica) che il perseguimento dell’interesse pubblico (ex art.97 Cost.) non può avvenire se non attraverso procedure rispettose della “trasparenza”, in grado di garantire la “par condicio” e la “concorrenza”, profili sostanziali coincidenti con il concetto comunitario di “pubblicità” e “apertura al mercato”, in evidente distonia con procedure negoziate e dirette (ex trattativa privata), incapaci di accertare una reale ed effettiva “comparazione” tra più offerenti.

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