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Articolo Pubblicato il 17 Luglio, 2023

Onere della prova in materia di abuso edilizio sanabile

Onere della prova in materia di abuso edilizio sanabile

La sez. I Lecce, del TAR Puglia, con la sentenza 13 luglio 2023, n. 906, interviene per affermare che l’onere della prova in materia di realizzazione di un intervento edilizio incombe sull’interessato, questo ai fini di dimostrare che nel momento di ultimazione dei lavori non sussisteva l’obbligo di richiedere il titolo abilitativo.

Il Fatto

Il Responsabile dell’UT di un Comune dichiarava la decadenza degli effetti di una SCIA in sanatoria, per ragioni di non conformità alla strumentazione urbanistica vigente, inibendo l’attività edilizia contenuta nella stessa, disponendo, altresì, la trasmissione del provvedimento alla Procura della Repubblica ed al Presidente dell’Ordine.

Il ricorrente impugna l’atto, eccependone la validità sull’erronea istruttoria e sulla mancata disamina dell’aerofotogrammetria prodotta (risalente all’anno 1984), idonea a rilevare la presenza del manufatto in contestazione; asseriva, altresì, che in relazione all’acquisizione del titolo di proprietà l’intervento risaliva in data antecedente al 1° settembre 1967, dunque in epoca antecedente all’obbligo, sorto a seguito della legge n. 47/1985, di relativa dichiarazione catastale.

Merito

Osserva il Collegio che la motivazione del provvedimento di diniego della sanatoria si incentra sul fatto che la parte ricorrente non risulta aver dimostrato «la pre-esistente consistenza secondo quanto prescritto all’art. 3 del Testo Unico per l’Edilizia DPR 380/2001» (venivano citati orientamenti giurisprudenziali a sostegno della decisione amministrativa).

In effetti, l’onere della prova dell’ultimazione entro una certa data di un’opera edilizia abusiva, allo scopo di dimostrare che essa rientra fra quelle per le quali si può ottenere una sanatoria speciale, ovvero fra quelle per cui non era richiesto un titolo ratione temporis, perché realizzate legittimamente senza titolo, incombe in linea generale sul privato a ciò interessato, unico soggetto ad essere nella disponibilità di documenti e di elementi di prova, in grado di dimostrare con ragionevole certezza l’epoca di realizzazione del manufatto[1].

Ne consegue che in assenza di una prova certa sulla data di realizzazione, il fabbricato sul quale si segnala l’avvio di attività edilizia è ancora da ritenersi eseguito in assenza di atti abilitativi, appalesando la legittimità dell’atto fondato (e infondato il ricorso) su presupposti non erronei, e nemmeno basato su carenze di natura istruttoria e/o motivazionale, giacché, nella specie, la documentazione prodotta all’Amministrazione non assolve l’esigenza probatoria, satisfattiva del quando: l’edificio attuale (oggetto di sanatoria) non risulta affatto riconducibile alla tipologia di quello preesistente al 1967: le dimensioni non sono sovrapponibili.

Il rigore della prova

Il Tribunale non può che confermare i precedenti arresti giurisprudenziali che esigono la presentazione della prova della preesistenza dell’opera ad una certa data improntata a particolare rigore, escludendo che possano costituire idonea prova delle dichiarazioni “pro veritate”, di un terzo, avente ad oggetto la data di realizzazione e la consistenza originaria di un immobile abusivo, laddove non si riscontrino elementi dai quali risulti univocamente l’ultimazione dell’edificio entro la data fissata dalla legge[2].

L’accertamento in via istruttoria da parte della PA deve basarsi su dati oggettivamente riscontrabili e non su dichiarazioni pro-veritate rilasciate da terzi, dovendo riscontrare in termini oggettivi l’intervento, ovvero mediante la produzione dell’atto di trasferimento della proprietà dal quale possa desumersi, se non i dati catastali (all’epoca non previsti) quanto meno la puntuale descrizione, con le relative dimensioni[3].

Si può concludere, che l’onere della prova circa l’ultimazione dei lavori (entro la data utile per ottenere il condono) grava sul richiedente la sanatoria[4], dal momento che solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto, sia che, in difetto di tali supporti di prova, resta integro il potere dell’Amministrazione comunale di negare la sanatoria dell’abuso[5].

Tale principio, peraltro, risulta a sua volta, di per sé, del tutto coerente con il principio di ben più generale portata per cui, anche nel processo amministrativo, ai sensi degli artt. 63 ss. c.p.a., il sistema probatorio è comunque fondato su di un metodo dispositivo per così dire “temperato” (altrimenti, e più comunemente, definito come proprio di un modello processuale di carattere dispositivo con metodo acquisitivo), nel senso che la parte ricorrente deve comunque fornire in giudizio un principio di prova a sostegno delle proprie deduzioni, conformemente a quanto previsto per il processo civile dall’art. 2697 c.c. e dall’art. 115 c.p.c., e in ordine al quale il giudice può poi acquisire, con proprio impulso istruttorio, gli elementi idonei a corroborare quanto affermato dalla parte medesima[6].

[1] Cfr., Cons. Stato, sez. VII, 24 marzo 2023, n. 3011 e sez. VI, 21 febbraio 2023, n. 1787.

[2] Cons. Stato, sez. II, 12 febbraio 2020, n. 1081.

[3] Cfr. TAR Campania, Salerno, sez. II, 19 giugno 2023, n. 1443, ove è stata ritenuta illegittima un’ordinanza di demolizione di un immobile per l’assenza del permesso di costruire nel caso di sussistenza di idonei elementi probatori, in ordine alla realizzazione del manufatto in data antecedente al 1° settembre 1967.

[4] TAR Campania, Napoli, sez. VI, 3 luglio 2023, n. 3979.

[5] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 22 marzo 2018, n. 1837; 19 marzo 2018, n. 1711; 5 marzo 2018, n. 1391.

[6] Cons. Stato, sez. V, 10 novembre 2010, n. 8006.