«Libero Pensatore» (è tempo di agire)

Commissione di gara e collegio perfetto

Si annota che la Commissione di gara costituisce un collegio perfetto[1], che deve operare con il plenum dei suoi componenti nelle fasi il cui l’organo è chiamato a compiere valutazioni tecnico-discrezionali o ad esercitare prerogative decisorie[2], rispetto alle quali si configura l’esigenza che tutti i suoi componenti offrano il loro contributo ai fini di una corretta formazione della volontà collegiale, mentre tale collegialità non è indispensabile quando occorre effettuare attività preparatorie, istruttorie o strumentali verificabili a posteriori dall’intero consesso[3].

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Commissione di gara e collegio perfetto

Commissione di gara e collegio perfetto

Si annota che la Commissione di gara costituisce un collegio perfetto[1], che deve operare con il plenum dei suoi componenti nelle fasi il cui l’organo è chiamato a compiere valutazioni tecnico-discrezionali o ad esercitare prerogative decisorie[2], rispetto alle quali si configura l’esigenza che tutti i suoi componenti offrano il loro contributo ai fini di una corretta formazione della volontà collegiale, mentre tale collegialità non è indispensabile quando occorre effettuare attività preparatorie, istruttorie o strumentali verificabili a posteriori dall’intero consesso[3].

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I caratteri della concessione di servizi

In via preliminare, la “concessione di servizi” viene disciplinata dall’articolo 30 del Codice dei Contratti (D.Lgs. n.163/2006), si caratterizza dal fatto che il c.d. “fattore rischio” della gestione (alias corrispettivo della prestazione) viene traslato sul concessionario, che attraverso la riscossione della tariffa (o canone) copre le spese dell’intervento, mentre nell’appalto tale onere grava sull’Amministrazione aggiudicatrice.

La controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio, evidenziando la natura aleatoria del contratto di concessione, in opposizione al carattere commutativo del contratto d’appalto.

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Concessione di servizi: il fattore rischio

I caratteri della concessione di servizi

In via preliminare, la “concessione di servizi” viene disciplinata dall’articolo 30 del Codice dei Contratti (D.Lgs. n.163/2006), si caratterizza dal fatto che il c.d. “fattore rischio” della gestione (alias corrispettivo della prestazione) viene traslato sul concessionario, che attraverso la riscossione della tariffa (o canone) copre le spese dell’intervento, mentre nell’appalto tale onere grava sull’Amministrazione aggiudicatrice.

La controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio, evidenziando la natura aleatoria del contratto di concessione, in opposizione al carattere commutativo del contratto d’appalto.

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Inquadramento normativo.

La nozione di comando consegnata dall’art.56 del T.U. degli impiegati civili dello Stato, di cui al D.P.R. n.3/1957, descrive il fenomeno per cui il pubblico impiegato, titolare di ruolo presso una pubblica amministrazione viene temporaneamente assegnato a prestare servizio presso altra amministrazione o altro ente pubblico, nell’interesse dell’amministrazione di destinazione.

L’assegnazione è a termine e va riconosciuta in relazione a due distinte condizioni non cumulabili: la prima per “esigenze di servizio”, la seconda “quando sia richiesta una speciale competenza”.

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Rapporto di pubblico impiego: il comando


Inquadramento normativo.

La nozione di comando consegnata dall’art.56 del T.U. degli impiegati civili dello Stato, di cui al D.P.R. n.3/1957, descrive il fenomeno per cui il pubblico impiegato, titolare di ruolo presso una pubblica amministrazione viene temporaneamente assegnato a prestare servizio presso altra amministrazione o altro ente pubblico, nell’interesse dell’amministrazione di destinazione.

L’assegnazione è a termine e va riconosciuta in relazione a due distinte condizioni non cumulabili: la prima per “esigenze di servizio”, la seconda “quando sia richiesta una speciale competenza”.

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Assistiamo ad una recente filiera normativa di emergenza che nell’intento “risorgimentale” di rifare l’Italia e di rispettare il command comunitario di ridurre la spesa pubblica, tra promesse e proclami, intenderebbe anche riformare il rapporto di lavoro nella pubblica amministrazione, pretendendo l’aumento della produttività e dell’orario di servizio ma diminuendo il salario e precarizzando il dipendente pubblico, specie se dirigente, in evidente contrasto con l’obiettivo generale “delle politiche del lavoro pubblico”; politiche, oltre che norme di legge, tese ad assumere il personale pubblico attraverso un concorso e a tempo indeterminato (il lavoro a termine è, o era, una eccezione).

Qualche dovuta perplessità sul reale intento di questa riforma, tra le tante riforme annunciate, è possibile immaginare in un nuovo concetto (e prassi) di relazioni e di contrappesi tra “politica”, che opera rivolta all’indirizzo e alla programmazione, e “amministrazione”, che si adopera per la gestione e il risultato; un tempo il “principio di separazione” garantivano l’imparzialità e l’indipendenza (rectius la legalità) della pubblica amministrazione, precludendo qualsiasi interferenza e confusione nell’esplicazione dell’azione amministrativa, in conseguenza della chiara individuazione dei compiti e delle conseguenti responsabilità politiche e tecniche.

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Senza titolo e senza concorso: la riforma del pubblico impiego

Assistiamo ad una recente filiera normativa di emergenza che nell’intento “risorgimentale” di rifare l’Italia e di rispettare il command comunitario di ridurre la spesa pubblica, tra promesse e proclami, intenderebbe anche riformare il rapporto di lavoro nella pubblica amministrazione, pretendendo l’aumento della produttività e dell’orario di servizio ma diminuendo il salario e precarizzando il dipendente pubblico, specie se dirigente, in evidente contrasto con l’obiettivo generale “delle politiche del lavoro pubblico”; politiche, oltre che norme di legge, tese ad assumere il personale pubblico attraverso un concorso e a tempo indeterminato (il lavoro a termine è, o era, una eccezione).

Qualche dovuta perplessità sul reale intento di questa riforma, tra le tante riforme annunciate, è possibile immaginare in un nuovo concetto (e prassi) di relazioni e di contrappesi tra “politica”, che opera rivolta all’indirizzo e alla programmazione, e “amministrazione”, che si adopera per la gestione e il risultato; un tempo il “principio di separazione” garantivano l’imparzialità e l’indipendenza (rectius la legalità) della pubblica amministrazione, precludendo qualsiasi interferenza e confusione nell’esplicazione dell’azione amministrativa, in conseguenza della chiara individuazione dei compiti e delle conseguenti responsabilità politiche e tecniche.

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I consiglieri comunali, nell’ambito della loro attività pubblica, sono titolari di diritti e prerogative finalizzate ad un esercizio della funzione in modo consapevole, con la piena possibilità di presentare proposte di deliberazione al consiglio comunale, chiedere la convocazione dello stesso, presentare interrogazioni e mozioni (un potere di sindacato ispettivo), ottenere dagli uffici e dagli enti e/o aziende strumentali tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili per l’appunto, all’espletamento del proprio mandato (una estensione del diritto di accesso, ex art. 22 della Legge n. 241/90) ed inoltre, se consiglieri di minoranza, di presiedere le commissioni aventi funzioni di controllo o di garanzia.

Nelle attività consiliari la norma, del quarto comma dell’articolo 39 del D.Lgs. n.267/2000 (tuel), prevede una adeguata e preventiva informazione ai gruppi consiliari ed ai singoli consiglieri sulle questioni da sottoporre al consiglio, affinché sia assicurata e garantita la possibilità di prendere cognizione di tutti gli atti e documenti istruttori posti alla base dei singoli provvedimenti da approvare in assemblea.

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Diritti dei consiglieri comunali

I consiglieri comunali, nell’ambito della loro attività pubblica, sono titolari di diritti e prerogative finalizzate ad un esercizio della funzione in modo consapevole, con la piena possibilità di presentare proposte di deliberazione al consiglio comunale, chiedere la convocazione dello stesso, presentare interrogazioni e mozioni (un potere di sindacato ispettivo), ottenere dagli uffici e dagli enti e/o aziende strumentali tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili per l’appunto, all’espletamento del proprio mandato (una estensione del diritto di accesso, ex art. 22 della Legge n. 241/90) ed inoltre, se consiglieri di minoranza, di presiedere le commissioni aventi funzioni di controllo o di garanzia.

Nelle attività consiliari la norma, del quarto comma dell’articolo 39 del D.Lgs. n.267/2000 (tuel), prevede una adeguata e preventiva informazione ai gruppi consiliari ed ai singoli consiglieri sulle questioni da sottoporre al consiglio, affinché sia assicurata e garantita la possibilità di prendere cognizione di tutti gli atti e documenti istruttori posti alla base dei singoli provvedimenti da approvare in assemblea.

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Il conflitto di interessi di norma si presenta quando un soggetto si trova in una situazione di coinvolgimento personale, diretto e/o indiretto, che gli impedisce di procedere con imparzialità su una determinata questione, imponendo allo stesso un obbligo di astensione al fine di non compromettere la propria azione, assunta in uno stato di disequilibrio decisionale.

Si tratta di una situazione di “conflitto o di contrasto” che altera la capacità decisionale verso una qualsiasi utilità, diretta o indiretta, che si possa ricavare partecipando al procedimento amministrativo: la ratio dell’obbligo di astensione del pubblico funzionario, già stabilito con l’art. 290 T.U.L.C.P. 1915, va ricondotta al principio costituzionale dell’imparzialità dell’azione amministrativa e trova applicazione ogni qualvolta esista un collegamento tra la determinazione finale e l’interesse del votante o del titolare del potere decisionale, indipendentemente dell’esito del contenuto provvedimentale.

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Conflitto di interessi e responsabile del procedimento

Il conflitto di interessi di norma si presenta quando un soggetto si trova in una situazione di coinvolgimento personale, diretto e/o indiretto, che gli impedisce di procedere con imparzialità su una determinata questione, imponendo allo stesso un obbligo di astensione al fine di non compromettere la propria azione, assunta in uno stato di disequilibrio decisionale.

Si tratta di una situazione di “conflitto o di contrasto” che altera la capacità decisionale verso una qualsiasi utilità, diretta o indiretta, che si possa ricavare partecipando al procedimento amministrativo: la ratio dell’obbligo di astensione del pubblico funzionario, già stabilito con l’art. 290 T.U.L.C.P. 1915, va ricondotta al principio costituzionale dell’imparzialità dell’azione amministrativa e trova applicazione ogni qualvolta esista un collegamento tra la determinazione finale e l’interesse del votante o del titolare del potere decisionale, indipendentemente dell’esito del contenuto provvedimentale.

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