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La sez. giurisdizionale Campania, della Corte dei conti, con la sentenza del 20 ottobre 2025, n. 325, accoglie parzialmente la richiesta della procura erariale di […]
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La sez. II Catania del TAR Sicilia, con la sentenza 8 ottobre 2025 n. 2874, individua il giudice competente in una controversia per l’assunzione del […]
La riforma in progress nel tentativo di liberalizzare i servizi pubblici locali, togliendo ogni marginalità e rendita di posizione [117], riafferma ancora una volta tutta l’incompletezza di una disciplina stratificata e non omogenea dove persistono margini di insoluta discrezionalità, situazioni di monopolio e di privilegio all’interno del mercato (non libero) non essendo ancora chiarito il quadro d’insieme e potendo interpretare la complessità e la frammentarietà della materia a beneficio della conservazione dell’esistente.
I servizi pubblici locali e la loro distinzione sul dato (o meno) economico o commerciale è lasciata alla facoltà del singolo soggetto pubblico con l’intenzione, più o meno celebrata, di garantire le posizioni acquisite piuttosto che liberalizzare verso l’esterno (a mantenimento di una posizione dominante o di concentrazioni) [118], chiudendo definitivamente tutte le società non in grado di competere con il mercato e/o affidatarie in esclusiva di servizi (affidati, ovviamente, senza gara).
La disciplina dei servizi pubblici locali è una materia in continua evoluzione nel tentativo (del Legislatore) di garantire la concorrenza (e l’apertura del mercato) e assicurare standard di qualità delle prestazioni erogate, differenziando gli operatori (imprenditori o società) in funzione del perseguimento di un interesse economico o di una finalità collettiva.
Con il passare degli anni si è cercato di distinguere gli affidamenti con gara da quelli diretti (riformando l’art.113 del Tuel), imponendo delle limitazioni per tutti i soggetti che beneficiavano di diritti di esclusiva rispetto a coloro che entravano nel marcato, creando una ulteriore separazione tra le società di servizi e quelle strumentali alle esigenze dell’amministrazione procedente, giungendo ad impedire sia la costituzione di nuove partecipate che il mantenimento di quote azionarie.
L’attività istruttoria si inserisce nella fase (preparatoria) del procedimento amministrativo che concorre a formare la decisione provvedimentale (deliberazione), valutando una serie di elementi di fatto e di diritto (il percorso motivazionale, ex articolo 3 della Legge n.241/90) – a cura del responsabile del procedimento – necessari all’adozione dell’atto finale.
In questa prima fase, prodromica alla successiva fase costitutiva o decisoria, si inseriscono i pareri obbligatori di regolarità tecnica e qualora si presenti un riflesso diretto sulle finanze dell’ente (impegno di spesa o diminuzione di entrata) è indispensabile coinvolgere il responsabile di ragioneria.
La conferenza dei capigruppo, all’interno dell’articolazione del consiglio comunale, costituisce una “commissione” a cui vengono generalmente affidati compiti collaborativi con il presidente dell’assemblea per la redazione dell’ordine del giorno (una sorta di pre-informazione sugli argomenti da discutere); oppure, in funzione di apposite norme regolamentari, possiede compiti istruttori finalizzati alla stesura di atti regolamentari o alle modifiche statutarie o a specifiche materie.
Alla conferenza dei capigruppo partecipano tutti i rappresentati dei gruppi consiliari (rectius senza alcun criterio collegato alla rappresentanza consiliare) e la sua composizione varia, quindi, in base al numero dei gruppi consiliari (formatisi a seguito delle elezioni o dell’appartenenza politica dichiarata), diversamente dalle commissioni consiliare ove vige il criterio della proporzionalità.
La seconda sezione centrale di Appello della Corte dei Conti, con la sentenza n. 266 del 30 giugno 2010, interviene in merito al danno cagionato da alcuni amministratori (di un I.P.A.B.) per aver effettuato operazioni finanziarie di investimento di denaro liquido di cassa rivelatasi non vantaggiosa per lo stesso istituto (confermando l’appellata sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regione Veneto n. 879/2004).
Il danno era imputabile alla perdita di una parte del capitale investito e gli interessi passivi pagati sull’anticipazione di cassa resasi necessaria dalla momentanea carenza di liquidità (dovuta al mancato disinvestimento delle somme).