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L’Amministrazione civica in presenza di un’occupazione abusiva di un proprio bene può ricorrere alla tutela esecutoria, ordinando al soggetto responsabile di liberare il bene o […]
In generale con riferimento alle condotte nella PA, per sostenere una richiesta risarcitoria (da comportamento illegittimo), risulta necessario dimostrare l’elemento soggettivo della colpa dell’Amministrazione agente, […]
La sez. Lavoro della Corte di cassazione, con l’Ordinanza 31 luglio 2024, n. 21440, delimita l’utilizzo del buono pasto alla prestazione lavorativa eseguita, al termine […]
L’Amministrazione civica in presenza di un’occupazione abusiva di un proprio bene può ricorrere alla tutela esecutoria, ordinando al soggetto responsabile di liberare il bene o di rimuovere l’eventuale ostacolo (opera abusiva)[1], portando ad esecuzione l’ordine in presenza dell’inerzia del soggetto obbligato, questo sul presupposto indelebile della titolarità del bene.
In generale con riferimento alle condotte nella PA, per sostenere una richiesta risarcitoria (da comportamento illegittimo), risulta necessario dimostrare l’elemento soggettivo della colpa dell’Amministrazione agente, dove l’onere probatorio non richiede un particolare impegno, potendo limitarsi ad allegare (c.d. onere probatorio) l’illegittimità del comportamento medesimo e per il resto farsi applicazione, al fine della prova dell’elemento soggettivo, delle regole di comune esperienza e della presunzione semplice (di cui all’art. 2727 c.c.).
La sez. Lavoro della Corte di cassazione, con l’Ordinanza 31 luglio 2024, n. 21440, delimita l’utilizzo del buono pasto alla prestazione lavorativa eseguita, al termine della quale può usufruire del servizio mensa, nel senso che risulta dovuto dopo un orario di lavoro eccedente le sei ore (turno).
In termini diversi, il diritto alla mensa (il caso è riferito ad un’Azienda sanitaria) viene riconosciuto nei giorni in cui il lavoratore presta la propria opera, superando l’orario stabilito dalla contrattazione: una dovuta pausa dopo il turno di lavoro[1].
La sez. II bis Roma, TAR Lazio, con la sentenza 24 luglio 2024, n. 15126, condanna la condotta di una Amministrazione, comprese le spese di giudizio, per aver temporaneamente sospeso il diritto di accesso in ambito edilizio, sul presupposto del tutto erroneo della temporanea indisponibilità dei documenti.
Indisponibilità e irreperibilità del documento
È noto che il diritto di accesso ha ad oggetto documenti formati e, quindi, venuti ad esistenza che si trovino nella certa disponibilità dell’Amministrazione, non potendo l’esercizio di tale diritto, o l’ordine di esibizione impartito dal giudice, alla luce del principio generale per cui “ad impossibilia nemo tenetur” e per evidenti ragioni di buon senso, riguardare documenti non più esistenti o mai formati[1].
La sez. II ter Roma, del TAR lazio, con la sentenza del 19 luglio 2024, n. 14749, interviene per illustrare la funzione (ratio) della pubblicazione delle deliberazioni (consigliari) del Comune, dove all’art. 124 del d.lgs. n. 267/2000, al comma 1, si dispone che «Tutte le deliberazioni del comune e della provincia sono pubblicate mediante pubblicazione all’albo pretorio, nella sede dell’ente, per quindici giorni consecutivi, salvo specifiche disposizioni di legge»[1].
Di converso, i commi 3 e 4 dell’art. 134, Esecutività delle deliberazioni, del TUEL stabiliscono che «Le deliberazioni non soggette a controllo necessario o non sottoposte a controllo eventuale diventano esecutive dopo il decimo giorno dalla loro pubblicazione. Nel caso di urgenza le deliberazioni del consiglio o della giunta possono essere dichiarate immediatamente eseguibili con il voto espresso dalla maggioranza dei componenti»[2].
La legge 23 giugno 1927, n. 1188, Toponomastica stradale e monumenti a personaggi contemporanei, prevede all’art. 1 che «Nessuna denominazione può essere attribuita a nuove strade e piazze pubbliche senza l’autorizzazione del prefetto o del sottoprefetto, udito il parere della regia deputazione di storia patria, o, dove questa manchi, della società storica del luogo o della regione».
La norma contempla l’ipotesi in cui occorre attribuire una denominazione ad una viabilità istituita ex novo distinguendosi per tale verso dalla diversa fattispecie in cui si vogliano modificare i nomi di “vecchie” vie o piazze disciplinata, invece, dal r.d.l. n. 1158 del 1923.