«Libero Pensatore» (è tempo di agire)
Abusiva occupazione di strada pubblica e obbligo di provvedere

Abusiva occupazione di strada pubblica e obbligo di provvedere

Impossessamento abusivo di proprietà pubblica e dovere di provvedere

La classificazione di una strada come di proprietà pubblica necessità:

  • il transito pubblico;
  • necessariamente deve sussistere una manifestazione espressa della destinazione per la collettività;
  • l’uso del bene deve assolvere una destinazione pubblica;
  • un valido titolo di proprietà del suolo da parte della P.A.;
  • (alternativamente al titolo di proprietà un diritto di servitù pubblica).

È noto che l’uso pubblico non è collegato al relativo dominio pubblico: può essere impresso anche ad una strada privata o “vicinale” soggetto a pubblico transito, ex art. 825 del codice civile, dove si postulano i “diritti demaniali su beni altrui”, quando «i diritti stessi sono costituiti per l’utilità di alcuno dei beni indicati dagli articoli precedenti o per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi».

Ne consegue che l’uso pubblico di un bene non implica necessariamente la coeva titolarità del diritto di proprietà o di altro diritto reale.

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La concretezza del senso comune: la riforma digitale della P.A.

La concretezza del senso comune: la riforma digitale della P.A.

Oltre alle impronte digitali, allo scanner oculare, al microchip, anche GOOGLE GLASS.

È pur rilevante, che il nuovo formato di Spid porta l’identità digitale del professionista, con un’unica password (c.d. pin), ad accedere a tutti i servizi on line della P.A..

Mentre con la firma elettronica (non sono ravvisabili elementi obiettivi per poter ritenere che solo la firma in formato CAdES offra garanzie di autenticità, laddove il diritto dell’UE e la normativa interna certificano l’equivalenza delle due firme digitali, egualmente ammesse dall’ordinamento sia pure con le differenti estensioni <*.p7m>  e <*.pdf>, Cass. sez. U., n. 10266 del 27 aprile 2018) e la posta elettronica certificata (c.d. Pec), adeguata agli standard europei eIDAS, è sempre possibile per il professionista essere identificato digitalmente dalla P.A.: questa è concretezza.

Infatti, la firma digitale equivale alla firma autografa apposta su un documento cartaceo e, quindi, la sua funzione è garantire autenticità, integrità e validità di un atto (TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 29 giugno 2018, n. 1291).

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Fumo passivo nella P.A. e tutela risarcitoria.

Fumo passivo nella P.A. e tutela risarcitoria.

I danni prodotti da un’ambiente insalubre collegato al fumo passivo devono essere dimostrati concretamente.

La prima sez. del T.A.R. Veneto, con la sentenza del 22 agosto 2018, n. 868, stabilisce che all’interno dei luoghi chiusi (alias istituti penitenziari o carceri) non è possibile separare i locali dei fumatori dai non fumatori.

Il ricorso veniva promosso da un dipendente contro il Ministero della Giustizia per la violazione di precisi obblighi del datore di lavoro.

I motivi e le richieste:

  • il risarcimento dei danni alla salute patiti per violazione delle norme a tutela della salute dei lavoratori;
  • l’assenza di un adeguamento dei luoghi di lavoro mediante installazione di idoneo impianto di aerazione (un obbligo di facere);
  • il mancato esonero dai servizi presso i luoghi di detenzione o la destinazione a servizi da svolgersi al di fuori di tali ambienti, almeno sino all’adeguamento al d.lgs. n. 81/2008 (in punto, art. 237, comma 1, lett. c) a tenore del quale il datore di lavoro «progetta, programma e sorveglia le lavorazioni in modo che non vi è emissione di agenti cancerogeni o mutageni nell’aria. Se ciò non è tecnicamente possibile, l’eliminazione degli agenti cancerogeni o mutageni deve avvenire il più vicino possibile al punto di emissione mediante aspirazione localizzata, nel rispetto dell’articolo 18, comma 1, lettera q). L’ambiente di lavoro deve comunque essere dotato di un adeguato sistema di ventilazione generale».

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Libero panino in libera scuola.

Libero panino in libera scuola.

È illegittimo vietare il consumo di cibo portato da casa nei locali adibiti a refezione scolastica e durante tale servizio.

La controversia oggetto di intervento della quinta sez. del Cons. Stato, con la sentenza n. 5156 del 3 settembre 2018, nella sua essenzialità affronta una questione che un tempo costituiva la normalità: consumare in classe il mangiare portato da casa, senza beneficiare del pasto fornito dalla scuola.

Il ricorso vede come parte appellante un’Amministrazione locale contro un gruppo di genitori di alunni frequentanti le scuole materne ed elementari che si erano opposti alle determinazioni del Consiglio comunale che prevedeva l’obbligatorietà – per tutti gli alunni senza alcuna distinzione – del servizio di ristorazione scolastica, mentre nulla diceva sul consumo di merende in orario scolastico (che pure risulta essere un piccolo pasto).

Le determinazioni consiliari di istituzione e regolamentazione del servizio di refezione scolastica, oltre a imporre un limite alla libertà di mangiare come meglio ritenevano opportuno i genitori (la cura dei propri figli comprende l’educazione alimentare, si tratta della tutela dei c.d. diritti sociali alla salute, all’assistenza, all’istruzione), disponeva un precetto a favore dell’appaltatore del servizio sull’uso esclusivo dei beni pubblici: nei locali in cui si svolgeva la refezione scolastica era inibito il consumo di cibi diversi da quelli forniti dall’operatore economico.

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Prescrizione e rimborso spese legali

Prescrizione e rimborso spese legali

Il conflitto di interessi e la mancata condivisione del legale impedisce il rimborso della spese legali.

All’apertura di un procedimento penale il dipendente coinvolto dovrà segnalare prontamente il fatto all’Amministrazione di appartenenza, senza procedere, in via assolutamente autonoma e senza mai interpellare e/o condividere la sua scelta processuale con l’Amministrazione, compreso a processo terminato, qualora non interpellata l’Amministrazione, provveda all’accettazione di una pronuncia di intervenuta prescrizione e di prestare, così facendo, acquiescenza a quanto deciso in sentenza, senza rilevare che il giudizio non si è svolto nel merito, ovvero non si sono accertati i fatti e le responsabilità.

Si può, in principio, rilevare che l’accettazione, senza alcuna contestazione, da parte del dipendente della pronuncia del Tribunale penale di prima istanza, riconosce in modo espresso la piena soddisfazione degli esiti processuali, delineando – a chiare lettere – di non aver rinunciato alla prescrizione, consentendo alla sentenza di passare in giudicato, rendendola, pertanto, in alcun modo contestabile, e, come tale, preclusivo di ogni diverso accertamento da parte del giudice civile, in sede contenziosa per il ristoro delle spese legali rivendicate dal dipendente al diniego dell’Amministrazione.

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Ancora lavoro gratuito per attività ad alto rischio

Ancora lavoro gratuito per attività ad alto rischio

Controlli e verifiche dei ponti a costo zero: effetto estivo o solo d’effetto.

Italia Oggi del 22 agosto 2013, a pagina 31, riportava la notizia di una lettera firmata da un primo cittadino (vedi, ingenio-web.it, 22 agosto 2018) inviata agli ordini professionali, per il controllo di un ponte «a titolo gratuito»; la richiesta «nello spirito di collaborazione che da sempre contraddistingue codesti enti».

Si tratterà della partecipazione senza compenso ad una commissione (si immagina tecnica) che avrà il compito di verificare l’efficienza di tal storico ponte.

Un tecnico, prescelto dagli ordini, per una prestazione con evidenti assunzioni di responsabilità ma senza alcuna uscita finanziaria per il Comune.

Si legge, in risposta, che la volontà c’è «ma il modo in questo caso non è corretto»: si viene a snaturare il rapporto tra enti e professionisti, poi mancherebbero le coperture assicurative.

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